La nemesi di Violante, sbeffeggiato dai giustizialisti

La nemesi di Violante, sbeffeggiato dai giustizialisti

RomaSul forum del sito di Marco Travaglio il popolo giustizialista si scatena contro di lui: «Violante, l’espressione più subdola del piddì». E c’è chi vorrebbe menare le mani: «Io più che la bozza Violante farei i bozzi a Violante». Con asterisco che spiega: «espressione romanesca assimilabile a “gonfiare di botte” o “corcare di mazzate”».
In mezzo ai travaglini l’ex presidente della Camera non può certo sentirsi al sicuro. Il suo cammino dal partito delle procure al partito del dialogo da quelle parti proprio non è piaciuto.
Loro amano il comunista duro e puro, mica quello che di fronte alla tragedia delle foibe prova, non dico vergogna, ma «imbarazzo», o riabilita i «ragazzi di Salò». Meglio il «piccolo Vishinsky», come lo chiamava Cossiga, del moderato di oggi che vuole riformare il sistema elettorale di un Csm «corporativo», creare un’Alta Corte disciplinare autonoma, rivedere «l’ipocrisia» dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Tanto più gli sta sullo stomaco adesso, che la sua bozza di riforma costituzionale sembra avvicinare Berlusconi a Bersani, mettere d’accordo D’Alema con Fini, far convergere Maroni sulle posizioni di Veltroni.
Tanto più adesso, che dal centrodestra è tutto un coro di elogi al responsabile riforme del Pd e ad una voce Bonaiuti e Cicchitto, Schifani, Quagliariello e Frattini ripetono: «Il punto di partenza è la bozza Violante».
No, ai travaglini tanta popolarità tra i berluscones non va giù. Puzza di tradimento, di trasformismo... E dalla prima pagina del «Fatto» arriva un attacco avvelenato all’ex presidente della Camera che, nientemeno, arriva a puntare l’indice contro dei pm. Non solo: secondo il giornale di Travaglio, consiglia al Guardasigilli Alfano di punirli.
Per di più, irrita la location snob nella perla delle Dolomiti. Violante parla all’«impellicciata platea» di un dibattito sul processo a «Cortina Incontra», che lo applaude a più non posso. Cose da pazzi.
E da lì critica la Procura di Rovigo, che avrebbe bloccato la trasformazione di una centrale dell’Enel a metano in una a carbone meno inquinante della prima, sostiene Violante (ma la cosa è messa in dubbio). L’accusa è di aver intimidito i membri della commissione di impatto ambientale, che dovevano dare il via libera all’opera e invece «non si riuniscono perché temono che la magistratura li metta sotto inchiesta». Insomma, un uso distorto dell’arma giudiziaria. Di quelli strumentali.
I giustizialisti insorgono. Ma come, questo Violante che per decenni ha guidato la strategia dei pm rossi, ora si mette a fare il delatore di toghe? Suggerisce indagini disciplinari contro i suoi ex-colleghi e ad un ministro del governo dell’odiato Cavaliere?
Per minarne ogni credibilità e farne crollare l’autorevolezza «Il Fatto» ricorre all’arma antica del sospetto, neppure troppo velato, sul «conflitto d’interessi». Eh sì, perché tra gli sponsor dell’associazione presieduta da Violante «Italia Decide», figurerebbe anche l’Enel, «che con la magistratura di Rovigo ha il dente avvelenato».
Il gioco è fatto, ma si tratta solo dell’ultimo segnale di un’insofferenza che dilaga a sinistra, soprattutto tra le fazioni più giustizialiste, contro il Violante dialogante, che mette in guardia dal rischio di «un governo dei giudici» e nel suo ultimo libro, Magistrati, raccomanda a quelli che vestono la toga di «essere leoni, ma leoni sotto il trono». E visto che sul trono oggi siede Berlusconi...
Il leader carismatico di una volta viene isolato, spesso denigrato, anche apertamente combattuto, dai giustizialisti che non cercano alcun dialogo con la maggioranza. Per il Pdci, la bozza Violante è «la prova conclamata della subalternità di alcuni settori del Pd alla destra italiana».
«Violante uno, Violante due», è il tormentone inventato da Dagospia per sottolineare il cambiamento del postcomunista. L’agiografia che lo riguarda, una volta fonte di rispetto e orgoglio, risulta ora come la preparazione di una «svolta» peccaminosa. Il figlio del giornalista comunista scappato in Etiopia, dove lui nacque nel 1943 in un campo di concentramento inglese; il giudice istruttore di Torino nei caldi anni ’70; l’esperto di terrorismo al ministero della Giustizia; il docente di procedura penale; il deputato e responsabile giustizia del Pci, poi Ds, poi Ulivo, poi Pd; il presidente della Commissione Antimafia e poi presidente della Camera a fine anni ’90, in quest’ottica non ha mantenuto le promesse. Non ha messo a frutto le sue doti nella direzione giusta. Non è rimasto fedele al Partito, vecchio stampo.
D’altronde, anche un magistrato compagno di tante battaglie come Giancarlo Caselli, procuratore di Torino, non condivide le sue nuove posizioni. Mentre Piercamillo Davigo, unico ad essere rimasto con la toga del pool di Mani Pulite, dice che Violante «è sempre stato così».

E non suona come un complimento.
Molti hanno attribuito la sua trasformazione anche alle delusioni accumulate, ultima la fallimentare corsa alla Consulta. Per i giustizialisti travaglini, però, al voltafaccia non ci sono giustificazioni.

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