Neppure il governo crede alle accuse: «No alle indagini sui presunti errori»

D’Alema prende le distanze dal film: «Ritardi nella diffusione dei risultati? Nel 2001 c’era voluto più tempo»

da Roma

Nessuna indagine del governo attuale sui presunti brogli. Nessun particolare ritardo del governo di allora nel diffondere i risultati delle elezioni: «Dodici ore, c’è voluto di più nel 2001». E dunque nessun avallo alla denuncia di Enrico Deaglio. Tocca a Massimo D’Alema, nel question time alla Camera, sgonfiare definitivamente il caso. «Cosa ne penso? Io non so nulla - commenta all’uscita il ministro degli Esteri -. Non ero in Italia e non ho visto il film».
L’ha visto bene invece Giuliano Amato. «Tutta la vicenda - dice - evoca un bisogno di professionalità. Una notitia criminis desunta da un articolo di un reato commesso da altri, nel giro di una settimana è diventata notitia criminis nei confronti di chi quell’articolo lo ha scritto. Eppure, se fin dall’inizio la storia fosse stata vagliata con maggiore ponderazione, si sarebbe evitato questo giro di 360 gradi». Bastava quindi fare i normali controlli: «Non sarebbe mai accaduto se nell’informazione italiana fossero in vigore gli standard di professionalità che la Reuters assegna ai giornalisti». Quanto al futuro, il governo fermerà la macchina del voto elettronico. «È il trionfo degli antenati - spiega il ministro dell’Interno -. A volte stipulare un contratto sputandosi sulla mano e stringendo quella dell’altro può dare più certezza di una firma telematica. Infatti è meno facile taroccare un voto espresso manualmente».
E pure Piero Fassino prende le distanze da Deaglio. Occorre prudenza, sostiene, nel parlare di brogli elettorali perché «si rischia di destabilizzare inutilmente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni». «La parola brogli - dice il segretario neo Ds - l’ha introdotta Berlusconi ogni volta che veniva sconfitto alle elezioni e io l’ho sempre criticato perché quando usi quella parola devi essere sicuro altrimenti il rischio è di introdurre un’idea della politica che non è trasparente». Quanto al film, «ci sono degli organi deputati a chiarire la vicenda, la magistratura e la giunta per le elezioni: affidiamo a loro questo compito».
Per il centrodestra c’è una sola cosa certa, «l’inadeguatezza del sistema di rilevamento che impone adesso di ricontare tutto». Lo chiedono congiuntamente Fi e An. Secondo alcuni dati arrivati alla Giunta per le elezioni, sono state conteggiate 23mila schede in più del numero complessivo dei votanti. «Un errore dello 0,6 per cento - dice Giuseppe Calderisi -, se si vuole un errore minimo, ma è sufficiente per creare dubbi visto che la differenza tra i due schieramenti è proprio dello 0,6 per cento». «Visto che, dopo il film di Enrico Deaglio, è stata la maggioranza a riaprire il problema - aggiunge Paolo Bonaiuti - , forse sarebbe il caso di fare chiarezza una volta per tutte riscrutinando le schede». Anche secondo Chiara Moroni «l’unica strada per uscire da questa situazione è ricontare tutto».
«È un Paese molto strano il nostro, in cui un presidente del Consiglio in carica, poi capo dell’opposizione, da mesi accusa l'Unione di brogli e nessuno si sogna di indagarlo. Accadono fatti gravissimi e stranissimi durante le elezioni politiche, e cosa accade? Viene indagato Deaglio per un reato d’opinione, una cosa ridicola: roba fascista da anni Sessanta». Lo afferma Orazio Licandro, capogruppo del Pdci in commissione Affari costituzionali.

Secondo l’esponente dei Comunisti italiani «resta un quadro molto fosco e torbido e la risposta del governo di oggi non aiuta a rischiarare: quindi depositeremo nei prossimi giorni una proposta di legge per l’istituzione di una commissione d’inchiesta, perché troppe cose sono ancora da capire nel cuore nevralgico del Paese». Infine, Oliviero Diliberto: «Sono contento che Amato abbia soppresso il voto elettronico. Le ombre restano».

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