Nessun colpo di spugna sulle violenze

È giusto, e inevitabile, che l’operazione ventilata per legalizzare in maniera morbida e senza strappi il centro sociale Leoncavallo provochi tensioni e contrasti nella giunta e nella maggioranza di Palazzo Marino. Il percorso indicato per ottenere quel risultato è infatti una contraddizione in termini. Legalizzare significa far prevalere, dopo anni di arbitrio, di violenze e di sopraffazioni, le ragioni della legge e del diritto, ma il «regalo» di un’area del valore di 7 milioni di euro agli occupanti abusivi avrebbe il valore di una resa. E il dato economico è il meno rilevante, contano soprattutto principi irrinunciabili. È come se gli amministratori di Palazzo Marino dicessero ai bravi ragazzi del Leonka: cediamo alla violenza, accettiamo il fatto compiuto e grazie a questa ritirata riconosciamo la legittimità del vostro arbitrio. Ed è singolare che questa soluzione lassista possa essere venuta in mente proprio mentre il sindaco Moratti organizza una sacrosanta protesta per invocare più sicurezza in città e per far rispettare con maggiore impegno le leggi. A tutti.
C’è qualcosa che non quadra in questo pasticcio che per essere troppo buonista diventa assurdo. È comprensibile che si cerchino soluzioni che evitino contrapposizioni frontali e disordine, ma la quiete ottenuta con la resa non ha valore. Non è difficile immaginare lo sconcerto degli elettori della Cdl e soprattutto lo sgomento di quei cittadini ai quali per anni è stata imposta una vicinanza rumorosa e pericolosa, scandita da scontri, prepotenze, intimidazioni.

La legalità non è divisibile né contrattabile. La questione riguarda l’amministrazione comunale, ma anche e forse soprattutto il ministero dell’Interno, per il quale non dovrebbero esistere aree sottratte alla sovranità di quello che un tempo si chiamava Stato.

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