Politica

Nessuna marcia indietro del Pdl: «È come Bertinotti, si dimetta»

RomaChe sia ormai un capo-partito che fa politica, lo riconoscono perfino i suoi fedelissimi. Non sono solo i suoi avversari a sostenerlo. Ecco perché, nonostante il tentativo di abbassare i toni della polemica, Gianfranco Fini non può più interpretare il delicato ruolo di arbitro super partes che dovrebbe garantire chi ricopre la terza carica dello Stato. Il tema delle dimissioni dell’ex leader di An non è stato accantonato, nonostante nelle ultime ore gli esponenti di Futuro e libertà abbiano fatto a gara nel confermare il loro appoggio al governo e anche se lo stesso Fini (ieri in Canada per la riunione dei presidenti delle Camere del G8) ha detto alla speaker del Congresso Usa Nancy Pelosi - che gli chiedeva notizie sulla situazione italiana - che «la legislatura non è in discussione».
Dietro la facciata dell’ufficialità internazionale, però, la situazione non è così tranquilla e numerosi esponenti del Pdl continuano a porre la questione della permanenza di Fini alla Presidenza della Camera. Lo ha fatto il coordinatore del Pdl Sandro Bondi. Parlando a Gubbio, pur senza pronunciare la parola “dimissioni”, ha paragonato Fini a Bertinotti («nella vita si deve essere coerenti») che ricopriva lo stesso incarico durante il governo Prodi. E lo ha fatto anche il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, sostenendo che «su Fini non c’è nessuna marcia indietro». Sarà lui stesso a dover chiarire il confine tra il suo ruolo di presidente e di leader del gruppo Futuro e libertà. Intanto si è appreso che la richiesta di dimissioni del presidente della Camera non rientrerà fra gli argomenti che il premier Silvio Berlusconi affronterà a Montecitorio a fine settembre: lo ha annunciato ieri il ministro della Giustizia Angelino Alfano.
In circostanze come questa, però, l’imparzialità rischia di diventare una parola svuotata di ogni significato sostanziale. Intervenendo alla scuola di formazione del Pdl a Gubbio, ieri il presidente del Senato Renato Schifani ha rilevato che «per regolamento e Costituzione il presidente Fini non è affatto sfiduciabile, se esercita il suo ruolo con autorevolezza, imparzialità e professionalità, che gli vengono riconosciute». Le parole di Schifani (dettate, forse, da una cautela non estranea ai futuri sviluppi delle vicende che lo riguardano) hanno suscitato apprezzamento e commenti positivi da parte dello stesso Fini e dei suoi più stretti collaboratori. Ma nella sostanza Schifani ha condannato lo strappo di Fini. A tornare sulla questione dell’incompatibilità di Gianfranco Fini, dopo le richieste di Fabrizio Cicchitto, è stato ieri anche Giuliano Ferrara sulle pagine di Panorama. Il direttore del Foglio ha osservato che l’ex leader di An «non è nel suo buon diritto quando aggiunge che può stare seduto dove sta, fino al compimento della legislatura, senza troppi problemi». I comizi di Fini, sostiene Ferrara, non solo non lo fanno essere, «ma non lo fanno neppure parere super partes». Dal canto suo, il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli ha ipotizzato un possibile intervento del Quirinale non tanto sulle dimissioni di Fini, ma sul «corretto funzionamento» della Camera dei deputati e sulla teorica eventualità di scioglimento di un solo ramo del Parlamento. Non solo. Calderoli ha detto anche che a breve è previsto il rinnovo delle Commissioni, dove il potere discrezionale del presidente della Camera può rivelarsi determinante nella composizione delle stesse. Sullo sfondo resta un’incertezza: bisogna che Fini chiarisca come intende conciliare il dichiarato appoggio al governo con il ruolo di oppositore che sta interpretando.

«Credo che a fine mese - ha detto Calderoli - lo capiremo».

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