Nessuno difende il gasdotto dai terroristi

Gli islamici hanno minacciato di colpirlo insieme al Colosseo Ma né l'esercito né la polizia sono mai stati mobilitati

Nessuno difende il gasdotto  dai terroristi

Qui arriva il gasdotto più lungo del Mediterraneo, accanto a uno sterrato che porta al mare, all'ombra delle grandi ciminiere del polo Petrolchimico dell'Eni. Un'auto bianca di vigilanza sorveglia uno degli ingressi. Passiamo con la macchina a poca distanza dalla recinzione attraverso cui si vede una parte dell'impianto e veniamo osservati con attenzione. La strada non battuta porta a un terrapieno affacciato sulla spiaggia, ma solo i lavoratori lo percorrono, la via al Greenstream non è zona di picnic. In alcuni orari qui girano anche pattuglie di polizia, perché questo non è un sito qualsiasi, ma un obbiettivo altamente sensibile per possibili attentati terroristici. Eppure di uomini dell'esercito non c'è traccia. In una città ora tutta impegnata nelle elezioni alle porte, con 11 candidati a sindaco e 20 liste, c'è chi ricorda che proprio in questa zona sbarcarono gli alleati settant'anni fa: «E se accadesse con i terroristi dell'Isis, dov'è il nostro esercito?». Tre mesi fa su un account jihadista di Twitter sono state pubblicate due foto: una ritraeva un combattente dell'Isis che guardava il Colosseo in fiamme attraverso il mare, l'altra proprio questo punto di Gela, lo sbocco del grande gasdotto Greenstream, che porta il gas dalla Libia all'Italia. L'allarme è stato prima minimizzato e poi confermato. Oltre al pattugliamento di terra, condotto dall'Eni con mezzi privati e dalle forze dell'ordine, anche la Marina e la Guardia costiera hanno alzato la vigilanza in mare, dove si trovano due piattaforme petrolifere. Ma qui, ancora di più che nel resto della Sicilia, la polizia si sente abbandonata da Roma. «Siamo impreparati ad affrontare il terrorismo - denuncia il segretario provinciale del Sap di Caltanissetta, Carmelo Marino - chiediamo al governo dignità e preparazione. Da tempo invochiamo una formazione adeguata».

In questo lembo dimenticato d'Italia, dove succede che in una sola notte arrivino ad essere bruciate fino a nove automobili (è l'ultima piaga della città) le forze dell'ordine si trovano a fronteggiare malavita ed emergenza terrorismo con numeri bassi e senza altri ausili: centotrentasette agenti che devono badare anche ai pattugliamenti in mare con sette unità navali. Con quell'inquietante avviso su Twitter: il gasdotto Greenstream obbiettivo da raggiungere e neutralizzare. In Sicilia, una regione che conta nove provincie, secondo i dati del rapporto dell'esercito 2014 è impegnato solo il 5,3% della forza militare di terra, un quinto dei soldati schierati a Roma. Ma l'emergenza sbarchi e le minacce dell'Isis sono adesso allarmi che richiedono un intervento diverso dello Stato.

Il punto in cui il grande gasdotto emerge dall'acqua per terminare sulla terra è l'appendice del collegamento energetico più prezioso tra la Libia e l'Italia. Se il Vaticano e il Colosseo sono i simboli spirituali e storici, questo è il cuore degli interessi economici italiani legati al gas libico. Il Greenstream, lungo 520 chilometri e di proprietà dell'Eni per il 75%, trasporta ogni anno 8 miliardi di metri cubi di gas da Wafa, nel deserto libico, a Gela. Operativa dal 2004, l'opera è stata completata in meno di un anno, tra il 2003 e il 2004. Raccoglie buona parte del gas estratto dagli stabilimenti di Bahr Essalam e di Wafa e invia alla Sicilia il rifornimento per tutta la penisola. Ha una profondità che in alcuni punti supera i 1.100 metri sotto il livello del mare, ma è lo sbocco italiano il punto più delicato, soprattutto dopo quell'immagine diffusa a fine febbraio dai canali di comunicazione del fondamentalismo islamico. Il mese scorso quattro uomini che si aggiravano in modo sospetto vicino all'impianto sono stati fermati. Non si sa niente di più, ma certo è che un contributo alla sorveglianza lo offrono anche gli stessi dipendenti, segnalando la presenza di persone intorno al perimetro.

EFo

Commenti