Netanyahu sfida Obama:" Insediamenti avanti"

Crisi tra Israele e Stati Uniti: il premier israeliano respinge la pretesa della Casa Bianca di bloccare la costruzione di 1600 case a Gerusalemme Est. Analisi: è uno scontro tra uomini, non fra Stati

Netanyahu sfida Obama:" Insediamenti avanti"

La costruzione di insediamenti ebraici nella parte orientale di Gerusalemme e nei suoi dintorni al di là del confine del 1967 continuerà. Benyamin Netanyahu lancia un inatteso guanto di sfida a Barack Obama: la Casa Bianca aveva usato toni insolitamente duri verso Israele parlando di «affronto» e aveva chiaramente fatto intendere al premier israeliano di aspettarsi un rapido stop a un’iniziativa le cui ricadute politiche internazionali sono molto serie e mettono a rischio l’intero processo di pace in Medio Oriente. Ma Netanyahu non ha sentito ragioni. In un primo tempo aveva cercato di calmare le acque annunciando la formazione di una commissione ad alto livello che impedisse per il futuro il ripetersi di situazioni come quella che ha provocato la collera dell’amministrazione americana, ma quando si è reso conto che Obama, tramite il suo segretario di Stato Hillary Clinton, pretendeva da lui unicamente una retromarcia si è ribellato.

«Negli ultimi quarant’anni - ha detto ieri il premier in un discorso al Parlamento, citando i nomi di aree della Cisgiordania che dopo le conquiste del 1967 sono state inglobate nella capitale - nessun governo israeliano ha mai imposto limitazioni alle costruzioni nei dintorni di Gerusalemme». Netanyahu ha aggiunto che nel mondo politico israeliano esiste un consenso pressoché totale sul punto della discordia con gli Stati Uniti (e ovviamente col mondo arabo): le aree annesse a Gerusalemme dovranno essere considerate parte integrante dello Stato di Israele in qualsiasi futuro negoziato di pace. In questo modo ha sfidato apertamente Obama, ostentando di godere in patria di un sostegno politico sufficiente per resistere alle sue pressioni.

La seria crisi nei rapporti israelo-americani sembra dunque essere stata innescata dalla contemporaneità di due elementi: l’infelicissima coincidenza dell’annuncio della costruzione di 1600 nuove case nell’insediamento religioso di Ramat Shlomo con la visita in Israele del vicepresidente Usa Joe Biden e una specifica incomprensione sullo status dell’area interessata. Infatti, è vero che quattro mesi fa Netanyahu aveva imposto una parziale moratoria a nuove costruzioni negli insediamenti ebraici in Cisgiordania, ma aveva escluso l’area di Gerusalemme. Un impegno che i palestinesi avevano giudicato insufficiente, ma sul quale l’amministrazione Obama non aveva trovato da ridire.

Sia come sia, il clima tra Washington e Gerusalemme è attualmente assai mediocre. Ieri il portavoce del Dipartimento di Stato (il ministero degli Esteri di Washington) ha detto che «Israele è e resterà un alleato strategico degli Stati Uniti, ma attendiamo una sua risposta formale» in merito ai nuovi insediamenti a Gerusalemme est. In pratica è una replica negativa alla sfida lanciata da Netanyahu. Ma il suo governo non pare intenzionato a recedere e insiste sulla versione dell’equivoco. «Non capiamo bene tutta questa reazione da parte di circoli vicini al presidente degli Stati Uniti - ha detto il portavoce del governo israeliano -, perché le costruzioni saranno fatte non nei Territori occupati ma a Gerusalemme, che è una citta israeliana e la capitale di Israele. È un fraintendimento da parte di Washington pensare sia una provocazione o un insulto. Non è così, è una cosa normale, fa parte dello sviluppo della città di Gerusalemme».

Fa comunque effetto che l’inviato di Netanyahu negli Stati Uniti abbia descritto l’attuale situazione dei rapporti tra i due Paesi come «una crisi di proporzioni storiche». Alcuni commentatori in Israele arrivano a temere che la cooperazione a livello militare e di sicurezza con gli Stati Uniti nell’eventualità di un confronto con un Iran dotato di armi atomiche possa risultarne compromessa.

E mentre l’autorità nazionale palestinese fa sapere che non parteciperà ad alcun negoziato finché Israele non avrà fatto marcia indietro sulle costruzioni a Ramat Shlomo,

a Washington entra in azione la lobby pro-israeliana Aipac, chiedendo a Obama di porre fine alla sua «escalation retorica». Domenica prossima proprio Netanyahu sarà ospite alla conferenza annuale dell’Aipac a Washington.

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