Stessa accusa, destini diversi. Uno, Filippo Penati, è indagato a piede libero per corruzione. E nonostante la Procura di Monza ne abbia chiesto l’arresto (respinto dal giudice) si è dimesso dall’ufficio di vicepresidenza, è uscito dal gruppo del Pd per passare al Misto, ma è ancora consigliere regionale. Con tanto di assegno mensile. L’altro, Franco Nicoli Cristiani, per corruzione è finito in carcere (prima a Brescia, ora è stato trasferito a Milano), e per ottenere i domiciliari ha lasciato tutte le poltrone disponibili. L’ex vicepresidente regionale ha inviato una lettera al Consiglio con la quale si è dimesso da tutti gli incarichi. Non solo da quello di numero due del Pirellone, ma anche da quello di semplice consigliere. Fine (almeno per il momento) della carriera politica di «Nicolone», o «il toscano», come veniva chiamato nelle intercettazioni telefoniche agli atti dell’inchiesta di Brescia.
La lettera di Nicoli Cristiani è datata 3 dicembre, ma è arrivata via fax in regione solo la sera del 9. Infine, è stata portocollata ieri. «Egregio presidente - scrive il politico - vorrai comprendere che allo stato non mi è consentito l’adempimento degli atti formali fin qui eseguiti». Scrive, Nicoli Cristiani, perché «venga data ampia divulgazione di questa mia determinazione, maturata dopo tanti anni di attività politica». E chiede «di fornire a me e alla cancelleria del gip di Brescia l’attestazione dell’avvenuta ricezione di questa mia determinazione, e del telegramma che l’ha preceduta». Nicoli Cristiani - che sembra lasci con una liquidazione di circa 400mila euro, maturata in sedici anni di carriera in Regione - è stato travolto dallo scandalo della presunta tangente da 100mila euro versata dall’imprenditore Pierluca Locatelli (che davanti al gip ha confessato di averne pagati altri cento in un’occasione precedente) per ottenere l’autorizzazione dal Pirellone a trasformare in discarica la cava di Cappella Cantone, nel Cremonese. Il politico è stato assessore all’Ambiente fino al 2005, anni durante i quali - secondo l’accusa dei pm bresciani - avrebbe maturato una rete di conoscenze tale da permettergli di intervenire su una materia non più di sua diretta competenza. Anche per questo motivo, nelle scorse settimane, il gip Cesare Bonamartini ha rigettato la richiesta di arresti domiciliari avanzata dalla difesa del politico. «Pericolo di reiterazione del reato». Ma ora, alla luce delle dimissioni «certificate» dalla missiva, la decisione potrebbe essere rivista.
Ieri, proprio sulla decisione di Nicoli Cristiani di lasciare tutti gli incarichi al Pirellone, il presidente del Consiglio regionale Davide Boni ha convocato l’aula per lunedì prossimo, così da ratificare le dimissioni.
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