In fondo, l’equilibrismo senza rete fino agli estremi è quasi una ragione sociale della storia di Sergio Cofferati. Che si tratti del viaggio spericolato dal riformismo al massimalismo e ritorno o del passaggio dalla piazza da tre milioni di persone alla solitudine familiare, dall’universale al personale.
Ecco, forse, Sergio Cofferati riesce a dare il meglio di sé nel privato. Un privato che diventa inevitabilmente pubblico. Basta pensare all’esperienza da sindaco di Bologna iniziata con una vicenda familiare, a retaggio degli insegnamenti del nonno (il vino versato nei tortellini in brodo, sacro per i cremonesi come Sergio e blasfemo per i bolognesi), che diventò un caso politico, e finita con una vicenda familiare che diventa anch’essa caso politico: la scelta di non ricandidarsi a primo cittadino per dedicarsi alla famiglia e alla paternità in età avanzata.
Poi, certo, dietro la conferenza stampa del gran rifiuto di ieri e dietro la scelta di gettare la spugna c’è anche molto altro, a partire dal rischio di una sonora sconfitta contro il Guazzaloca-ter. E allora, il privato.
Del resto, tutta la terza vita di Sergio - dopo la prima da sindacalista soft e la seconda da leader della sinistra hard -, quella di sindaco legalitario, è stata accompagnata dall’intimità. A partire dai primi gossip che lo davano in rotta con la compagna di una vita e innamorato di una ragazza giovane e bella. Di lei, inizialmente, si sapeva solo che era genovese. Poi spuntò il nome, Raffaella Rocca. E poi spuntò il ruolo, quello di coordinatrice dei rapporti con il pubblico, scuole, aziende e territorio del Teatro Stabile di Genova. Dopo il nome, arrivarono le foto. Ovviamente, a teatro. Lei giovane, riservatissima, bella senza essere appariscente. Lui solare, ringiovanito, rivestito, innamorato. Una bella coppia.
Da allora, a Genova, Cofferati si è visto molto più spesso. Prima, con la scorta in piazza Colombo, sotto casa di Raffaella, poi, le puntate a teatro. Poi, soprattutto, la paternità. Mai esibita, ma nemmeno nascosta. Ad esempio, la giornata passata in piedi - come il più emotivo dei papà, anche se non era la prima volta - davanti alla porta del reparto di ostetricia dell’ospedale Galliera. Commentata con parole che suonavano press’a poco così: «Diventare padre ora è un’emozione più forte rispetto a quando sei giovane». Il resto è venuto di conseguenza, corollario indispensabile del racconto di quell’emozione: le passeggiate in corso Italia, il salotto buono del Lido di Genova, spingendo la carrozzina, con la scorta alle spalle eredità delle minacce ricevute.
Edoardo sta per compiere un anno. Segni particolari: vivacissimo. Altri segni particolari: supercoccolato dal papà che sta vivendo, insieme, le due gioie più grandi che possano capitare a un uomo: essere papà con la consapevolezza e la capacità di godersi il bimbo che, spesso, hanno solo i nonni.
Un momento magico che l’ex leader della Cgil ha subito collegato mesi fa ai problemi bolognesi, documentando il suo discorso con gli orari ferroviari infausti e i collegamenti autostradali problematici: «Io e Raffaella non possiamo vivere distanti con un bimbo piccolo. O lei viene a Bologna, o io vado a Genova». Il lavoro di Raffaella è a tempo indeterminato, quello di Sergio è più che precario, anzi, a forte rischio. Quindi, la scelta è venuta naturale: via da Bologna.
Ora, a Genova, tutto sta a trovare un lavoro. Ci sarebbe il teatro dell’opera Carlo Felice, attualmente commissariato e in cerca di sovraintendente, ruolo che Cofferati rivestirebbe volentierissimo, vista la sua passione per la lirica. Oppure, l’Europarlamento dove si dice che ci sia pronto un seggio sicuro con il Pd. Certo, però, Raffaella ed Edoardo sarebbero lontani da Bruxelles e Strasburgo più di quanto lo fossero da Bologna. E, in questo caso, la favola bella del papà che dice addio alla politica e al potere per fare il papà perderebbe il lieto fine.
Oggi, però, è bello credere che la tenerezza dolce per Edoardo abbia vinto sulla ruvidità cinica dei sondaggi sfavorevoli per le comunali di Bologna e che Sergio Cofferati stia meglio circondato da due sole persone piuttosto che da tre milioni. Che il simbolo, per l’ennesima volta, abbia vinto sulla massa.
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