«Niente firma senza pena di morte»

L’Ucoii rifiuta la Carta dei valori: «Nei nostri Paesi le esecuzioni sono legali»

da Roma

Nella tradizione islamica non c’è un capitolo dedicato a Cesare Beccaria e al suo pamphlet illuminista Dei delitti e delle pene. Ed è questo a quanto pare il motivo per cui gli oltranzisti che influenzano la Consulta islamica non hanno alcuna intenzione di firmare la Carta dei valori proposta dal ministero dell’Interno. Fino a quando si parla di «ripudio della guerra» e di «appoggio alle organizzazioni di pace» tutto fila liscio. Ma quando si arriva al ripudio della pena di morte l’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche, una delle associazioni più ramificate presenti in Italia, si chiude a riccio. «No - dice il presidente Dachan - non potete costringere un immigrato che viene da un Paese dove la pena di morte è in vigore a sottoscrivere una regola del genere». Qualcuno può vedere in questo atteggiamento un sottofondo di coerenza, ma il problema vero è un altro ed ha a che fare con l’integrazione di chi sceglie di vivere in una nuova terra. L’Ucoii, a quanto pare, ritiene più importanti i valori di partenza rispetto a quelli di arrivo. Non è l’Islam che deve adeguarsi alla Costituzione italiana, ma il contrario: «Siccome nel mio Paese c’è la pena di morte io non firmo nulla».

Nella valigia dell’emigrante islamico non c’è spazio per i valori della terra che lo accoglie. L’Ucoii chiede anche di sdoppiare la Carta dei valori, una azzurra e una rosa, vale a dire una per gli uomini e una per le donne.

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