da Lagos
È costato la vita ad almeno nove persone, tutte nigeriane, lassalto armato allimpianto petrolifero dell'Agip nella regione del delta del Niger, nel sud della Nigeria. Una trentina di «giovani uomini» a bordo di un paio di imbarcazioni veloci hanno attaccato linstallazione come incursori. Rapidi, ben organizzati, travestiti da poliziotti e armati fino ai denti, verso le 14 (locali e italiane) sono sbarcati sul lato della piattaforma che ospita la banca, hanno ingaggiato una sparatoria con gli uomini della sicurezza a guardia dell'impianto a colpi di kalashnikov, sono entrati nella banca di cui hanno dimostrato di conoscere bene l'ubicazione, e ne sono usciti senza perdite, dileguandosi velocemente, come erano arrivati.
Finora il bilancio parla di nove vittime: otto poliziotti e un impiegato civile, tutti nigeriani, più «un numero imprecisato di feriti», ma «nessun italiano coinvolto», secondo quanto precisato dalla Farnesina e dalla stessa Eni. Una fonte governativa nigeriana, citata dall'agenzia Reuters, afferma invece che i morti sono undici, di cui nove poliziotti. L'Eni ha detto di aver «evacuato temporaneamente tutti i dipendenti e i contractor dall'area», dichiarando in serata che «la situazione è al momento sotto controllo».
«L'attacco - ha spiegato il console italiano a Port Harcourt Maurizio Bungaro - è stato condotto molto bene. Hanno potuto prendere il bottino e allontanarsi», ha detto il diplomatico, aggiungendo che non ci sono vittime fra i banditi. «Gli assalitori sono arrivati dall'acqua e hanno attaccato il lato della base che ospita la banca. In quel luogo - ha aggiunto Bungaro - ci sono solo nigeriani, quindi nessuno straniero è stato ucciso».
Quello di ieri è il secondo attacco contro un impianto dell'Agip nella stessa regione in poco più di 24 ore. Un tentativo era stato infatti già compiuto ieri contro una piccola stazione di pompaggio a Obama, sempre sulle acque del delta, respinto dal fuoco degli addetti alla sicurezza e conclusosi senza conseguenze, secondo l'Eni, né sulle persone, né sulla produzione. Ma anche se i due episodi si inseriscono in una spirale di episodi violenti contro le multinazionali del petrolio nella regione del delta del Niger, l'attacco di ieri non è stato ancora rivendicato. Non è chiaro se sia anch'esso ascrivibile al sedicente Movimento di liberazione del Delta del Niger, una sigla che si è fatta viva per la prima volta lo scorso ottobre e che rivendica la gestione di una parte dei proventi della fiorente industria petrolifera alletnia poverissima degli Ijaw, e la liberazione di due dirigenti politici. Lo stesso movimento ha rivendicato il rapimento, il 12 gennaio scorso, di quattro dipendenti stranieri del colosso anglo-olandese Shell - un americano, un britannico, un honduregno e un bulgaro -, tuttora in ostaggio. Per risolvere la crisi innescata dal loro sequestro è intervenuto direttamente il presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, che ha istituito una commissione apposita.
Ma intanto all'Agip e alla Shell il Movimento ha intimato di far cessare immediatamente lo sfruttamento delle ricche risorse della loro terra e ha chiesto ai due colossi energetici un indennizzo di 1,5 miliardi di dollari per aver inquinato il Niger, considerato un fiume sacro. Una lotta a sfondo etnico - la Nigeria ha quasi 130 milioni di abitanti divisi in almeno 230 fra gruppi etnici e religiosi - per il controllo dei proventi delle risorse petrolifere, cresciuta con gesti anche spontanei dagli anni Novanta e che ha conosciuto un crescendo vertiginoso negli ultimi 4-5 anni.
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