Ormai il blues è musica per carbonari ma lei non se ne cura. È donna daltri tempi; si sente dalla voce roca, sguaiata e potentissima, dallabbigliamento alla hippy anni Settanta ma soprattutto dalla suo estetica di «blues woman» doc. Non a caso lha scoperta in Texas il «blues brother» Dan Aykroyd, uno che di talenti se nintende. Così la cantante - ma anche scrittrice e conduttrice radiotelevisiva - francese Nina Van Horn con la sua energia e fisicità è diventata un fenomeno, catapultando il vecchio blues nel futuro. Lo fa con decine di concerti in tutto il mondo - dallAfrica allItalia - e con un cd e un libro che sintitolano significativamente Hell of a Woman. Hommage aux femmes du Blues. «Mi piace il rock - racconta - ma è giusto che tutti sappiano che alle sue radici cerano donne come Bessie Smith, Alberta Hunter, Ida Cox, Memphis Minnie. Così ho pensato, oltre ai miei brani, di reinterpretare i loro classici e di raccontare le loro vite». La Van Horn narra su carta - con taglio critico, storico e sociale - la storia di Memphis Minnie (che negli anni Trenta suonava «la chitarra come un uomo» ed era una bandiera del blues di Chicago) o della mitica Bessie Smith (che eleva ad arte la voce del ghetto); vicende non semplici da descrivere che parlano di coraggio, razzismo, violenza, sesso, alcol e droga. Canzoni complesse da cantare dato che il blues è (o ci illudiamo ancora che sia) una voce che viene dal tormento dellanima. E la Van Horn lo fa sentire questo tormento (splendida Down in the Alley della stessa Minnie, prepotentemente drammatica Me and my Gin di Bessie Smith, irriverente Ill keep sitting on it con i doppi sensi e gli espliciti ammiccamenti sessuali tipici del vecchio blues). «Non è vero che il blues è finito - attacca lei - è semplicemente cambiato il mondo. Negli anni Trenta era appannaggio dei neri; vivevano da cani ma vendevano valanghe di dischi. Star come Memphis Minnie erano in testa alle classifiche e i loro brani venivano suonati giorno e notte nei juke box. Poi il blues, da saggio papà, sè fatto da parte per far crescere il rock, e ora vigila perché la tradizione non venga dimenticata».
Per Nina Van Horn quindi il canto è una missione; rende bene su disco, sia in versione acustica (ma grezza e violenta come musica del diavolo comanda) ma ancor meglio sui palchi di tutto il mondo, dove il suo fisico non proprio leggiadro si lascia andare a danze allusive e a vocalizzi personali, ma dietro ai quali spuntano i fantasmi di Ma Rainey e Janis Joplin.
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