«No ai test per l’università: medici assunti dagli ospedali»

Eliminare il numero chiuso al test di medicina, assumere i medici in ospedale senza concorso. E cambiare le regole anche per le nomine dei direttori generali, svincolandoli totalmente dalla politica. Ecco le proposte di Renato Botti, presidente di Confindustria Lombardia Sanità e Servizi, per migliorare il livello della qualità in corsia.
Una gestione «aziendale» per superare i problemi tipici del settore pubblico. A cominciare dai concorsi per selezionare i medici. «Ogni ospedale pubblico - sostiene Botti, che è anche direttore generale della Fondazione centro San Raffaele - dovrebbe poter assumere direttamente, senza concorso, il medico che ritiene più adatto al ruolo da ricoprire. Con i concorsi aumenta il rischio che si generino distorsioni nella scelta».
L’assunzione diretta, in sostanza, eviterebbe «decisioni pilotate» e supererebbe tutti gli effetti collaterali del metodo in uso. È in ballo una riforma per togliere potere ai direttori generali nella selezione. «Ma questo - sostiene Botti - sarebbe solo un palliativo. Il problema di fondo è che si parla sempre di procedure legate ai processi e non ai risultati. La qualità dei medici invece è misurabile».
Altro tema scottante degli ultimi tempi: i concorsi per accedere alle facoltà di medicina. «Basta con questa storia del numero chiuso» propone Botti -. È un delitto. Limita le possibilità di accesso alla professione». Il presidente di Confindustria Sanità suggerisce di seguire l’esempio di altri paesi europei dove non si impone un numero prestabilito di matricole ma dove la selezione degli aspiranti medici avviene nel corso del primo biennio di studi. «Almeno così - sostiene - si può verificare la vera predisposizione dei giovani ad esercitare la professione. Oggi invece tanti di quelli che superano il test magari ci impiegano molti più anni del dovuto per laurearsi o cambiano sede della facoltà. Anche senza numero chiuso ci sarebbero delle criticità, ma sono sicuro che aumenterebbe la qualità».
Il numero chiuso sembra aver fatto il suo tempo. Serviva, anni fa, per limitare il numero dei medici in eccesso rispetto alla popolazione. Ma ora il problema è esattamente l’opposto, soprattutto in certe categorie, dai pediatri agli anestesisti: i «vecchi» vanno in pensione ma non vengono sostituti da un numero sufficiente di nuove leve.
L’obbiettivo di Confindustria è capire come funziona il turn-over negli ospedali lombardi e tradurre in cifre la tendenza dei prossimi cinque anni. Per questo Botti nei prossimi giorni incontrerà il direttore generale lombardo della Sanità Carlo Lucchina e avvierà una ricerca assieme all’università Bocconi. In base ai dati, verranno avanzate proposte su una programmazione diversa e verrà corretto il tiro sul numero chiuso negli atenei.
Altra nota dolente del sistema: i direttori generali di nomina politica.

«Bisognerebbe cambiare le regole - è convinto Renato Botti - ed essere molto più stringenti. Purtroppo i budget a disposizione degli ospedali non consentirebbero in ogni caso di assumere super manager come avviene nelle aziende, sarebbero troppo costosi. Ma servirebbero ad aumentare la qualità della gestione».

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