Roma Rosy Bindi, la presidente, dice di andarci «con l’ok di Bersani» perché i militanti del Pd «devono sentirsi a casa loro». Debora Serracchiani invece ci va, «ma senza dimenticare i tantissimi che resteranno a casa», esempio mirabile di «ma-anchismo» che più prosaicamente, a Roma, è consueto definire «paraculismo».
Anche Nando Dalla Chiesa è ubiquo: sarà sia a Genova che a Milano. Ignazio Marino sfilerà per dire «sì all’alternativa», Mario Barbi perché è «democratico fra democratici», il capogruppo Dario Franceschini invece si destreggerà sfilando assieme all’intero suo «soviet di Montecitorio», come lo definisce Enzo Carra. Immancabili ci saranno Nanni Moretti, Dario Fo e Roberto Vecchioni, Di Pietro e l’intera Idv, Claudio Fava e «quelli con la schiena dritta», Bonelli in difesa della «democrazia terremotata» e i verdi contro «Berlusconi radioattivo», Nichi Vendola con il «popolo in viola» dei blogger.
Con una sparuta prova generale ieri a Bruxelles, oggi va in onda (non sulla Rai) il «No B-day». Una manifestazione che si sta abbattendo sul Partito democratico ben oltre le intenzioni (non di Di Pietro). Tanto che sono in molti a definire il corteo promosso contro il governo un «No-Bersani-day», come ha spiegato Piero Sansonetti: «Non sarà una piazza contro Berlusconi ma contro Bersani. Questo non significa che non ci sia dietro una spinta ideale, peraltro comune a molti linciaggi». Una piazza di «Di Pietro e Spatuzza», accusa il socialista Nencini. Soprattutto, l’ennesimo trappolone ordito dai giustizialisti contro l’opposizione pd. «Sarebbe bene che nessuno dei nostri ci cadesse - dice Giorgio Merlo -: la trappola è ormai conosciuta anche nei minimi dettagli, costruita dai leader dell’Idv che hanno, come tutti sanno, come prevalente obiettivo politico quello di colpire il Pd. Sarebbe opportuno che nessuno dei nostri giocasse di sponda... ».
Ma ormai il guaio è fatto, e per l’ennesima volta «la nostra linea è inspiegabilmente confusa e negativa», constata Renzo Lusetti. Marco Follini, scorrendo la lista degli aderenti, si chiede: «Ma il congresso lo abbiamo fatto o lo dobbiamo ancora fare?». Di «anarchia» parla Carra. Il grosso del gruppo dirigente starà a casa, come spiega Luciano Violante, perché «si combattono le idee, non le persone».
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