Il punto non è quanto guadagna Sergio Marchionne, ma quanto può far guadagnare. Ovvio che uno legge e gli viene un attacco di rabbia mista a invidia: «Lo stipendio del numero uno Fiat vale quanto quello di suoi 6.400 operai». Il miglior modo di creare tensione sociale è alimentare i confronti: il padrone ricco e cattivo e il lavoratore povero e buono. La verità è che se Marchionne funziona, se la sua strategia per l’azienda è vincente, allora ne beneficiano anche quei 6.400 dipendenti e con loro tutti gli altri. Se invece fallisce, allora sì che è un problema per sé, per gli altri e per tutti. È qui che sta la differenza: non c’è nessuno scandalo a pagare cifre lunari a un supermanager fino a quando fa fare soldi alle aziende e così garantisce posti di lavoro e potenzialmente salari migliori per tutti i lavoratori. Il caso Marchionne non c’entra con lo scandalo creato dai bonus dati ai grandi manager di Wall Street: lì il problema era la vergogna di distribuire premi a chi aveva portato al collasso il sistema finanziario americano e mondiale. Fino all’esplosione del caso Lehman Brothers nessuno aveva visto con orrore la politica dei bonus. L’equazione era semplice: più soldi produci, più guadagni. Cinico, certo. Ma efficace. La follia è stata successiva: allo scoppio della crisi, quei manager non dovevano percepire alcun bonus. A qualcuno è successo, ad altri no. La distorsione è questa. Punto. Non il compenso dei manager in generale.
La retorica con cui spesso vengono affrontati gli stipendi di questa «casta» ricorda quella usata per criticare calciatori e gente dello spettacolo: Cristiano Ronaldo, per esempio, guadagna in un anno quanto mille operai. Non sono i 6.400 di Marchionne, ma paradossalmente è un compenso che sembra ancora più folle perché è fine a se stesso. Crea lavoro? No. Alimenta mercato, il che porta, almeno teoricamente, occupazione e quindi eventuale distribuzione di reddito. Ecco, il bello è che per Marchionne e per i manager questo discorso vale direttamente: il loro lavoro si può quantificare davvero. C’è un obiettivo: lo raggiungi, guadagni; non lo raggiungi, non guadagni.
La moralità c’entra poco: nessuno si è mai posto il problema di contare i soldi nelle tasche di chi con il proprio lavoro e le proprie capacità crea business e fa funzionare le aziende. Ovviamente al contrario è un pazzo scellerato chi non si pone il problema il manager non fa né il bene dell’azienda, né affari.
Il mercato è una cosa seria che a volte finisce in mani poco serie. Invece di criticare a prescindere i numeri e le proporzioni, bisognerebbe pensare a criteri che individuino più precisamente il merito. Su Marchionne si parla della quantità di soldi, ma non del perché li riceve.
Ovvero per un meccanismo finanziario, ma non necessariamente industriale e commerciale: la Fiat ha venduto meno automobili, ma è andata finanziariamente meglio dell’anno precedente. Quindi premio. Quindi denaro. Che siano l’equivalente di 64 operai o di 6.400 non fa differenza, se invece decidi di metterli in relazione anche a business reale di un’azienda forse sì.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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