Un no laico ai figli nati in provetta

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Ruggero Guarini

Naturalmente non andrò a votare. Non per meritarmi la benedizione del Papa ma per meritarmi la mia. Giacché potrò impartirmela soltanto se resterò fedele alla sola passione che questa faccenda riesce a destare nel mio petto di miscredente: lo schifo che mi fanno sia le copule in provetta sia il maneggio degli embrioni.
Questa mia repulsione – non esito ad ammetterlo – potrebbe anche essere fomentata da un vago sentimento religioso, nonché forse poetico ed estetico, della vita.
Vorrei tuttavia far notare che essa – sebbene possa sembrare incompatibile (e probabilmente lo è) sia col mio laicissimo rispetto dei diritti della ricerca scientifica, sia coi miei dubbi circa l’idea che gli embrioni, come oggi vuole la Chiesa, siano persone e individui, insomma soggetti umani, fin dall’istante del congiungimento dei gameti – mi porta a sentirmi più rétro del Santo Padre. Giacché sospetto che la radice del mio disgusto sia purtroppo precristiana.
Si dà infatti il caso che questo disgusto sembri perfettamente conforme all’idea, squisitamente pagana, ed espressa innumerevoli volte da tutti i grandi poeti del mondo antico, che il sacro mistero dell’amore e della vita si configuri come l’invisibile legge che annoda tutti i suoi aspetti e momenti – desiderio, amplesso, voluttà, concepimento, nascita – in una sola collana.
Ragion per cui si può agevolmente supporre che a qualsiasi grande spirito del mondo antico nulla sembrerebbe più sacrilego e anche ridicolo di quelle confricazioni di ovociti e spermatozoi che squadre di impassibili guardoni in camice bianco, dopo averli estirpati chissà come dai grembi di uomini e donne che a volte neanche si conoscono fra loro, fanno accoppiare, si può supporre senza alcun desiderio e diletto, nei loro spettrali alambicchi.
A far trovare tutto ciò disgustoso anche a me è dunque un vecchio dèmone pagano? Ed è un dèmone cristiano a farlo invece trovare accettabile a tutti quei credenti che niente hanno da obbiettare alle procreazioni assistite purché siano di specie omologa?
La parola agli esperti di quel ramo della letteratura fantastica che secondo Borges sarebbe in fondo la teologia.
La mia rozza immaginazione può soltanto incoraggiarmi a supporre che un mondo pieno zeppo di bambini che un giorno apprenderanno di esser nati non da un abbraccio amoroso ma da una tresca in provetta non sia molto di mio gusto.
Ammetto comunque che ognuno è padrone di pensarla, su queste faccende, come meglio crede.
Anche perché mi sembra di ricordare che due giganti del pensiero e della morale, Agostino e Pascal, dopo essersi arresi di fronte alla manifesta impossibilità di pervenire alla formulazione di una legge morale assoluta, superarono questo scacco con due fra le massime più abbaglianti della grande letteratura aforistica occidentale.
Due massime che dicono esattamente la stessa cosa.

Giacché sia quella dell’uno – «dilige et quod vis fac» (ama e fa ciò che vuoi) – sia quella dell’altro – «la vrai morale se moque de la morale» (la vera morale si fa beffe della morale) – dicono per l’appunto che nell’ora delle scelte decisive saremo, se dio vuole, sempre soli con noi stessi – e con quel terribile Altro interiore.
guarini.r@virgilio.it

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