Politica

«No a nuovi test del Dna» Amanda e Lele ora sperano

Perugia«Sono fiducioso» - dice Raffaele Sollecito salutando il suo difensore Luca Maori a fine udienza. Mentre Amanda regala sorrisi al padre Curt, al patrigno Chris, all'amica del cuore Madison Paxton, prima di essere scortata fuori dall'aula degli Affreschi.
È stata, quella di martedì, un'altra giornata vincente per le difese al processo per l'omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher. La corte d'Assise d'appello, dopo un'ora di camera di consiglio, ha respinto con una breve ordinanza, definendola «superflua», una istanza di integrazione della perizia, da affidare a consulenti diversi rispetto a Carla Vecchiotti e Stefano Conti (nominati dalla stessa corte e che hanno pesantemente criticato la perizia della polizia Scientifica, base dell'accusa che ha condannato Amanda a 26 anni e Raffaele a 25 anni di reclusione) per ulteriori esami sul coltello presunta arma del delitto e per una perizia bio-statistica.
«Dalla lunga istruttoria dibattimentale - ha spiegato il presidente Claudio Pratillo Hellmann - i giudici hanno avuto sufficienti elementi per farsi un proprio ragionato convincimento».
«I pubblici ministeri - è il giudizio dell'avvocato Luca Maori, che tutela Sollecito - hanno sempre contestato il "modus operandi” delle difese, sia in primo che in secondo grado, sostenendo che non c'era bisogno di alcuna perizia e contrastando questa ipotesi in ogni modo e ora hanno presentato una richiesta di nuova perizia. Assurdo. Bene ha fatto la corte a respingerla».
«Ho trovato Lele sereno-aggiunge.-. Forte della fiducia dell'innocente. Sta preparando un esame di "realtà virtuale” all'università di Verona e sono sicuro che lo supererà alla grande».
In questi giorni le difese (come l'accusa) prepareranno le arringhe finali. E Maori sottolinea: «La richiesta di nuova perizia della pubblica accusa si è dimostrata un atto di debolezza. La perizia dei consulenti nominati dalla corte e dunque super partes, ha tolto terreno da sotto i piedi dell'accusa. In questo processo non ci sono prove e neppure indizi. È franata la prova del Dna sul gancetto frutto di contaminazione, è evaporata la traccia di sangue sulla lama del coltello (in aula il professor Carlo Torre ha affermato che "il coltello non è stato lavato vista la presenza di amido rilevata sulla lama e che non c'era sangue perché l'amido, che agisce come una spugna, altrimenti lo avrebbe assorbito», ndr), non esiste la simulazione del furto, per negare l'alibi del computer di Raffaele sono stati utilizzati programmi obsoleti come l'Encase che cancella l'ultimo file, si è puntato sulle orme dei piedi nel corridoio come prova positiva quando al massimo quelle tracce possono essere utilizzate per l'esclusione di un certo soggetto sulla scena del delitto. Non parliamo poi delle testimonianze addotte per sostenere la colpevolezza degli imputati: le distruggeremo. L'ho detto: in questo processo non ci sono né prove, né indizi».
Insomma le difese sono pronte all’ultima battaglia. Convinte di poter vincere la guerra. A partire dal prossimo 23 settembre.
«Vogliamo che questo processo finisca presto. Sono quattro anni, quasi, che Amanda e Raffaele sono ristretti in carcere. È ora che questi due giovani, innocenti, vengano restituiti alla loro vita, ai loro studi, alle loro famiglie.
Sulla stessa lunghezza d'onda i difensori di Amanda. Il cui papà, Curt, arrivato per queste ultime udienze a Perugia, ha confidato: "Ho parlato con Amanda.

Mia figlia inizia a vedere la fine del tunnel dopo quasi quattro anni di carcere, sopportati da innocente».

Commenti