«No al Ponte, meglio i traghetti» Ma la grande opera costa meno

Un rapporto boccia i progetti alternativi della sinistra: «Più cari e dannosi per l’ambiente»

Fabrizio de Feo

da Roma

C’è chi crede fermamente che il Ponte di Messina rappresenti la chiave di volta per accorciare le distanze fisiche ed economiche tra la Sicilia e il resto dell’Italia, oltre a un simbolo di riscatto e un motore di sviluppo per tutta un’area. E chi, invece, come il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, lo bolla come «l’opera più inutile e dannosa progettata negli ultimi 100 anni». E aggiunge che è meglio procedere con le opere alternative, puntando sulla modernizzazione dei traghetti e sulle «autostrade del mare».
Ebbene, al di là del fatto che appare impresa difficile paragonare i tre minuti necessari all’attraversamento del Ponte ai 20-30 minuti dei traghetti, anche scendendo sul piano dell’impatto economico e ambientale delle cosiddette «soluzioni alternative», la bilancia pende nettamente a favore del Ponte. Una circostanza, questa, che al centrosinistra dovrebbe essere ben nota visto che ai tempi del governo Amato il rapporto dell’Advisor chiamato in causa (Price Waterhouse Coopers, Certet Università Bocconi, Sic e Sinora) del 14 novembre 2000 bocciò con parole chiare le cosiddette «soluzioni alternative» e in particolare lo scenario del potenziamento del servizio di traghettamento alternativo al Ponte.
La prima stroncatura riguardava le previsioni di costo. Per l’advisor «l’insieme degli interventi previsti comporterebbe un costo stimato in 2.080 miliardi di lire (valori anno 2000)», circa un miliardo di euro. Occorrerebbero, poi, ulteriori interventi sulle infrastrutture stradali e ferroviarie di accesso/uscita per un ammontare complessivo di circa 4.650 miliardi di lire (ovvero oltre 2 miliardi di euro) che porterebbero quindi l’investimento complessivo a oltre 3 miliardi di euro» (il Ponte costa 4,6 miliardi di euro inclusi i collegamenti).
Secondo l’advisor l’impatto ambientale sarebbe fortissimo e riguarderebbe il consumo di risorse naturali; l’interferenza dei cantieri con le aree urbane interessate; l’esigenza di siti idonei ad accogliere i materiali di scavo. Mentre nella fase di «completamento» delle opere vi sarebbero «interferenze con l’ambiente marino e interferenze diffuse con l’ambiente urbano delle due fasce costiere». Nella fase di «esercizio» delle opere, poi, si registrerebbe un aumento dei rischi dovuti alla limitata capacità dello specchio d’acqua a sopportare l’incremento del traffico; un aumento dell’inquinamento marino con le inevitabili conseguenze sull’ecosistema e sulle attività economiche collegate (pesca); la permanenza dei problemi di inquinamento atmosferico e acustico dei centri urbani». L’impatto economico sul Pil di queste opere sarebbe pari a 1.623 miliardi di lire, circa 800 milioni di euro (quello del Ponte è stimato in circa 6 miliardi di euro). Inoltre, secondo l’advisor, il potenziamento dei traghetti produrrebbe un aumento dell’effetto di congestione del traffico di attraversamento sulle città di Messina e Villa S. Giovanni così come difficilmente l’alta velocità ferroviaria potrebbe essere realizzata in Sicilia per l’impossibilità di traghettare i treni Eurostar.

Una bocciatura bella e buona, insomma, visto che la soluzione traghetti produrrebbe costi comunque elevatissimi, un impatto ambientale decisamente più alto di quello del Ponte e vantaggi economici pari a un sesto di quelli accesi dalla grande campata che dovrebbe unire Reggio Calabria a Messina.

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