No alla ricusazione del giudice anti-Berlusconi Ma un testimone chiave smonterà le accuse

La Corte d’appello «salva» la Gandus: non criticò il premier. Oggi la perizia decisiva. False voci sui contatti tra il Cavaliere e il Pd

da Milano

«Come si può negare che nell’intimo della coscienza della dottoressa Gandus sia potuta prevalere la spinta etico professionale a tacitare le proprie pulsioni, ad accantonare l’asserita avversione ideologica o anche l'astio verso un soggetto politico a lei probabilmente inviso?». E ancora: «Nulla nella condotta processuale del giudice ricusato sembra evidenziare un difetto di correttezza o un sintomo-spia dell’asserita avversione e della grave inimicizia».
Sono questi i passaggi decisivi dell’ordinanza con cui ieri la Corte d’appello di Milano ha respinto la richiesta avanzata da Silvio Berlusconi perché il processo Mills - dove il presidente del Consiglio è accusato di corruzione in atti giudiziari - venisse tolto a Nicoletta Gandus. L’appartenenza della Gandus alla componente più radicale della magistratura - dimostrata, secondo i difensori del premier, da decine e decine di esternazioni - non è ritenuta sufficiente dalla Corte d’appello per sostenere la tesi della «grave inimicizia» nei confronti dell’imputato.
È vero, si legge nell’ordinanza, la Gandus è un giudice che fa politica, e su sponda opposta al Cavaliere: ma «non ha mai menzionato direttamente l’onorevole Berlusconi, limitandosi a criticare una politica legislativa approvata dal Parlamento negli anni 2001-2006. Nulla di personale contro l’onorevole Berlusconi ha dunque espresso il giudice ricusato. I suoi strali critici si sono rivolti non alla persona bensì alla politica, segnatamente quella giudiziaria, di cui il ricusante si assume la paternità».
E proprio le carte del processo sono state al centro di un giallo nella serata di ieri. Prima, una dichiarazione attribuita a Berlusconi da un’agenzia di stampa, che avrebbe svelato una confidenza ai suoi eurodeputati. «Anche la sinistra è convinta della mia innocenza nel caso Mills, perché sono stato così trasparente da far leggere le carte a Fassino e D’Alema». Poi, dopo due ore di bagarre, una doppia smentita: prima Fassino e D’Alema, che hanno sbottato di non credere possibile che Berlusconi abbia accreditato come veri fatti mai avvenuti; dopo, Palazzo Chigi, che ha affidato il suo sdegno a una nota. «È tutto falso, non si capisce quale follia abbia portato alla nascita di notizie del genere» si legge nel comunicato.
Il processo dunque va avanti: anche se i difensori di Berlusconi, Piero Longo e Niccolò Ghedini, annunciano che ricorreranno in Cassazione contro la decisione della Corte d’appello milanese. «Un’ordinanza sorprendente», la definiscono. Ma intanto i due avvocati si preparano a dare battaglia anche nell’aula del processo, per dimostrare al collegio presieduto dalla Gandus l’estraneità di Berlusconi alle accuse mosse dal pm Fabio De Pasquale.
Oggi c’è udienza, e sul banco dei testimoni salirà Claudia Tavernari, consulente contabile della difesa Berlusconi. «La sua perizia dimostra al di là di ogni dubbio - spiega Longo - che i soldi arrivati sui conti di Mills, quelli che secondo l’accusa erano il prezzo della corruzione, non potevano in alcun modo provenire né da Silvio Berlusconi né da alcun altra struttura riconducibile a Berlusconi». La stessa prova era stata portata in aula la settimana scorsa dai consulenti dell’avvocato Mills, in un’udienza che osservatori di solito non teneri con il Cavaliere avevano registrato come «un punto a favore» della difesa.
Che la Gandus sia disposta ad ascoltare serenamente le loro ragioni, però, gli avvocati del Cavaliere non lo credono affatto. Ieri Ghedini si era spinto ad annunciare in una intervista che se la Gandus fosse stata rimossa dal collegio giudicante, allora Berlusconi avrebbe affrontato il processo rinunciando anche ad avvalersi del «lodo Alfano», la legge che congelerà i processi alle principali cariche dello Stato.

Invece la Gandus resta al suo posto, e così il processo Mills si avvia - a meno di sorprese - ad arenarsi contro il «lodo», che dopo essere stato approvato dalla Camera affronta ora l’esame del Senato. Appena diverrà legge, il processo si fermerà.

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