Politica

Con il «no» si esce dal pasticcio

Nell'ultimo articolo ho parlato dei pericoli di una Costituzione non costituzionale e con essa intendo una Costituzione che non si ispiri ai principi fondamentali del costituzionalismo, e cioè ai modi per limitare il potere assoluto. Il principio più noto è quello dell'equilibrio dei poteri istituzionali: viene chiamato dei checks and balances che è stato tradotto in italiano dei pesi e contrappesi. Questo non è rispettato, anzi è negato dal progetto di riforma costituzionale sul quale dovremo votare nel referendum del 25 giugno.
Infatti questa nuova Costituzione prevede un Premier fortissimo: eletto direttamente dal popolo con il potere di sciogliere le Camere a suo arbitrio. Con questo i poteri del Presidente della Repubblica quasi scompaiono. Il sistema bicamerale con la riduzione del Senato a Camera delle Regioni con poteri assai limitati e ben definiti non è più un ostacolo all'altra Camera. Un tempo il Senato veniva chiamato Camera alta e aveva un forte prestigio perché il suo Presidente sostituiva il Presidente della Repubblica nei casi di «impedimento». Così non si parlerà più di una Camera per il ripensamento delle leggi malfatte approvate dall'altra Camera. Rileggendo questo mio testo ho esclamato dentro di me: questa è la riforma che avrebbe voluto Prodi!
Per giustificare il mio «no» al referendum devo ora parlare anche della Corte costituzionale. Essa fu inserita nel testo dai repubblicani con Tomaso Perassi e dal Partito d'Azione con Piero Calamandrei. La sinistra era contraria perché essa limitava la volontà del Parlamento, espressione della volontà popolare, ed era estranea - come scrisse Togliatti - alla nostra tradizione. In realtà, guardando agli Stati Uniti d'America, si voleva correggere in senso liberale la coloritura socialista di molti articoli. Veniamo all'attuale referendum. Bisogna innanzitutto ricordare che nella passata legislatura la sinistra poco prima dello scioglimento del Parlamento ha votato a maggioranza una pessima legge in senso federalista (2001). Ripeto pessima: infatti sono aumentati i conflitti fra Stato e Regioni, intasando così la Corte costituzionale di ricorsi.
Questa la giustificazione per fare un'altra pessima riforma. Non ci si è limitati a migliorare i rapporti fra Stato e Regioni, cosa che si doveva fare, ma si è cercato di rafforzare il federalismo con un Senato federale e con una Corte costituzionale in parte federale. La Corte è ora composta da 15 membri: 5 giudici nominati dal Presidente della Repubblica, 5 dal Parlamento, 5 dalle supreme magistrature. Questo delicato equilibrio viene decisamente turbato riducendo a 4 i giudici di nomina presidenziale e a 4 quelli scelti dalla magistratura. Dei restanti 7 giudici, 4 sono nominati dal Senato federale e 3 dalla Camera dei deputati.
Con il mutamento del delicato equilibrio della Corte costituzionale le sue funzioni si invertono: la funzione primaria diventa quella di risolvere i conflitti tra Stato e Regioni, mentre la funzione primaria, la legittimità costituzionale, diventa secondaria.
In questa riforma costituzionale, mentre il principio del Governo bilanciato è abolito, quello del Governo limitato è profondamente indebolito. Questo mi sembra che basti per votare «no».
Vinto o perso il referendum c'è una possibilità per uscire da questo imbroglio.

Ne riparleremo nel prossimo articolo.

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