No al velodromo In Consiglio mozione di Fi

Il Vigorelli era già un tempio, lo è sempre stato: era il tempio del ciclismo. E chi ha fatto la storia di quel tempio non accetta la decisione di farne una «moschea part-time». Sante Gaiardoni è stato campione olimpico nel chilometro da fermo, a Roma ’60. Nel velodromo milanese fu protagonista di sfide epiche con Antonio Maspes, il velocista sette volte iridato cui l’impianto è dedicato dal 2000 - il primo titolo lo vinse proprio al Vigorelli, nel 1955.
La loro volata del ’62 è rimasta nella storia. «È assurdo - dice Gaiardoni - mi sembra una cattiveria per lo sport. Ci siamo sentiti con gli altri ex corridori, e stiamo pensando a iniziative concrete per opporci a questa decisione». Il Vigorelli non era una pista qualsiasi: «Era un’istituzione - ricorda - non solo nostra o degli amanti del ciclismo, era un luogo vissuto e amato dai milanesi. Uscivano, andavano lì con le mogli, i figli, a passare le serate, a mangiare un pianino guardando Coppi, Magni e gli altri grandi».
Il Vigorelli era il tempio dei pistard, e dei record dell’ora. Sette furono stabiliti fra il ’56 e il ’58. Il primo è quello di Fausto Coppi, che nel 1942 corse per 45 chilometri e 871 metri, 31 in più del precedente. Ma era anche le tappe- passerelle, gli arrivi del giro d’Italia e le partenze della Milano-Sanremo: «Complimenti - commenta amaro Gaiardoni - questo è l’amore delle nostre istituzioni per lo sport, pensano a tutto tranne che al ciclismo. Io non ho niente contro gli islamici, ma non mi sembra giusta la scelta di farne una moschea».
Il milanese Carlo Rancati è un altro gigante della pista, medaglia d’argento alle olimpiadi di Tokio ’64. È ancor più pessimista: «Che faccio? Vado lì a incatenarmi con la medaglia al collo? Stanno cancellando decenni di storia. Faremo qualcosa. Il Vigorelli è un monumento nazionale, ma lo hanno dato a tutti tranne che ai corridori, e la targa ora ricorda il concerto dei Beatles, non le imprese sportive». Lui s’innamorò del ciclismo quando il padre lo portò su un cavalcavia della Bovisa a veder passare il Giro di Lombardia: «Era il ’55, l’anno dopo ero già in pista. Aspettavamo Coppi, e ci mettevamo a ruota mentre si allenava a 45 all’ora. Eravamo anche cinquanta. Quella volta - mi trema la voce mentre ci penso - telefonai a mia mamma per raccontarlo anche a lei».
A Tokio ’64 l’Italia del ciclismo vinse otto medaglie. Gianni Pettenella trionfò nella velocità. Al Vigorelli è stato direttore degli allenamenti, e rimase disoccupato quando, nell’85, una nevicata fece crollare il tetto sul parquet della pista: «La gente - ricorda - veniva alle tre a vederci correre, e se andava alla chiusura. Tre quarti della mia vita li ho passati lì».

È fatalista: «Ora è tardi per lamentarsi, certo dispiace vedere il Vigorelli che fa questa fine, ma che possiamo ottenere? A entrare in queste cose si sbaglia sempre. So che sono tutti contrari, ma il vero problema è che a Milano mancano gli impianti, una vera piscina, una pista di atletica, un palazzo dello sport. Questo è solo il più recente dei problemi».

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