di Ida Magli
Già da diversi anni i premi Nobel per la Pace hanno perso buona parte del loro significato simbolico e del loro valore ideale a causa della politicizzazione che ne guida lassegnazione. Purtroppo non è rimasto nulla, in Occidente, che non abbia questa valenza utilitaria: «Ci serve? Quale profitto ne possiamo trarre?».
Non un gesto, non una parola, sfugge alla suprema legge economicistica che impera nel nostro mondo. E, prima di tutto, nella «politica» che, essendo anchessa intessuta della legge del profitto, ha invaso ogni angolo, ogni pur piccola parte del comportamento della società occidentale. Come avrebbe potuto lassegnazione dei premi Nobel sottrarsi a una possibile funzionalità politica? Quelli per la Pace, poi, invenzione abbastanza grottesca di un Occidente che trova di continuo sottili, razionalissimi motivi per muovere guerre a scopo di «pace», si sono persino logorati in questo gioco, ormai troppo scoperto. Da questo punto di vista non si può certo dimenticare lassegnazione del premio per la Pace ad un Obama che ancora non aveva avuto neanche il tempo di accorgersi di essere diventato il Presidente della Nazione più armata del mondo. E che, infatti, ha seguito in tutto e per tutto le abitudini bellicose dei suoi predecessori. Non poteva mancare, quindi, lidea che, in epoca di smaccata esaltazione delle donne, tanto più brave degli uomini, lassegnazione del premio a qualche donna di sicura occidentalizzazione, come sono tutte e tre le premiate, fosse utile per cominciare a mettere i piedi attraverso di loro in Paesi nei quali fino ad oggi lOccidente, per motivi diversi ma non di poco conto, è stato assente. Vogliamo dire con questo che non ci rallegriamo di questa scelta? Certamente no. Però non si può fare a meno di notare una vera e propria stranezza: come mai tre donne e un solo premio? Non si tratta di un premio a una équipe scientifica. E del resto nei premi collettivi non incide luguaglianza del sesso. Non vorremmo neanche supporre che tutto sommato tre donne ne valgano una. Si volevano premiare perché di sesso femminile? La giornalista dello Yemen ha lavorato effettivamente per i diritti delle donne. Ha cominciato togliendosi il velo in un paese dove vige la più stretta osservanza islamica e dove quindi le donne si trovano in condizione di assoluta inferiorità e sottomissione. Dunque è stata premiata proprio perché donna. Ma non si può dire la stessa cosa per le due premiate della Liberia, una delle quali è addirittura il presidente del suo paese. Diciamo che per ora non sappiamo fino a che punto sia il caso di rallegrarsi. I risultati di questo interesse dellOccidente per un paese come la Liberia, per esempio, non si potranno vedere se non fra qualche tempo. Un fatto è evidente: la Liberia è stata lasciata per decine danni alla sua immensa miseria, agli eccidi di una interminabile guerra intestina senza che lOccidente si muovesse, come è solito fare, per «portare con le sue armi la pace». Evidentemente lesercito di bambini «drogati e fatti diventare macchine da guerra», secondo quanto ha spiegato in un documentario Leymah Gbowee, non bastava a spingere lOccidente a sprecare neanche uno dei suoi contingenti «di pace». Fatto sta che la Liberia, più o meno come la Somalia, anchessa devastata da guerre tribali e carestie, non possiede le ricchezze che fanno gola allOccidente e per le quali è disposto a impiegare uomini e mezzi. Non è la Libia, insomma. Per lo Yemen la questione è invece molto più complessa a causa della sua posizione geopolitica e dello stretto islamismo imperante. LOccidente, perciò, è costretto a muoversi con estrema cautela e probabilmente conta su una qualche ribellione delle donne al suo interno per cominciare a incrinarne almeno il potere religioso.
Il Nobel alle donne che offende le donne
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