Il Nobel per la pace ha deciso: guerra Obama: "Pronti a raid sullo Yemen"

Il presidente Usa, diviso per mesi tra essere il Kennedy del Duemila o il nuovo Carter, ha scelto: meglio comportarsi da Bush E ora è pronto a scatenare l’attacco allo Yemen dove si nascondono i terroristi che vogliono distruggere l’Occidente. C'è una lista dei bersagli: si colpirà dal cielo

Il Nobel per la pace ha deciso: guerra 
Obama: "Pronti a raid sullo Yemen"

C'era una volta l'Obama che piaceva a tutti. Aveva il cuore pacifista di Jimmy Carter, ma emanava il fascino rassicurante di John Fitzgerald Kennedy. Durante la campagna elettorale del 2008, l'America, stordita dalla crisi economica, non si è mai chiesta se avesse davvero la tempra del Comandante in Capo ovvero di un leader capace di guidare l'unica superpotenza militare al mondo. Si accontentava di ascoltare la sua promessa di un cambiamento, il suo messaggio di speranza, sembrava ansiosa di rincorrere, con lui, il sogno di un mondo migliore. Perché il mondo sembrava davvero migliore: l'incubo dell'11 settembre che per otto anni aveva angosciato gli americani, non agitava più le loro notti, come se la guerra ad Al Qaida fosse davvero vinta.
Ma è bastato l'attentato, fallito per un soffio, sul volo Amsterdam-New York per far riemergere quella paura e, assieme ad essa, l'esigenza di un presidente diverso. Meno seducente e più concreto. E Obama, seppur con riluttanza, ha risposto. Il Premio Nobel per la Pace si appresta a ordinare la sua prima vera azione militare. Obiettivo lo Yemen, per dare una lezione ai seguaci di Bin Laden, che hanno armato il giovane nigeriano che voleva far esplodere il volo della Delta Airlines.
Il blitz non è ancora ufficiale, ma i segnali sono chiari. «Il Pentagono ha elaborato le opzioni di attacco, nell'eventualità che il presidente decida per una rappresaglia», ha annunciato una fonte del Pentagono alla Cnn. La dichiarazione è prudente, delinea un'eventualità, ma lo schema è ben noto agli esperti di comunicazione. Quando fonti anonime annunciano piani di battaglia, lo scopo è di preparare l'opinione pubblica a una svolta drammatica, che peraltro lo stesso Obama ha avvalorato, parlando martedì notte per la seconda volta in 24 ore ai suoi concittadini. Era rassicurante, è preoccupato. Ha criticato con durezza il suo ministro della Sicurezza, Janet Napolitano: «Quando un governo ha informazioni su un estremista, ma non le condivide come sarebbe stato doveroso e pertanto non prende azioni di conseguenza, siamo di fronte a un fallimento sistematico che considero inaccettabile», ha dichiarato dalle Hawaii, dove si trova in vacanza. Verdetto inappellabile, che annuncia tempi duri.
E le sue parole sono destinate a deludere buona parte dei suoi fan, quel popolo della sinistra democratica che vedeva in lui l'alfiere del Bene, ben diverso da Bush, e, possibilmente, più simile a Carter. Ma è proprio la similitudine con «Jimmy nocciolina» a tormentare Obama da qualche tempo. Anche Carter fu eletto sull'onda di una grande crisi, quella del Watergate, e come lui si proponeva di trasformare l'America, rendendola meno arrogante e più gentile. Com'è andata a finire lo sappiamo. La disponibilità al dialogo fu scambiata per debolezza. L'Unione sovietica invase l'Afghanistan e in Iran un barbuto imam sciita, l'ayatollah Khomeini, costrinse all'esilio lo Scià di Persia. Il mondo occidentale paga ancora il prezzo di quegli errori.
Prima di Natale la popolarità di Obama era ai minimi della sua presidenza e la notizia dell'attentato sventato il giorno di Natale contribuirà con ogni probabilità a farla scendere ulteriormente. Improvvisamente è cambiato l'umore dell'America, che non chiede più una svolta sentimentale, ma sicurezza. E pian pianino riconsidera Bush, che ha lasciato la Casa Bianca in disgrazia dopo aver commesso tanti errori nelle due legislature, ma a cui tutti riconoscono un grande merito: è riuscito a evitare un altro 11 settembre.
Oggi l'opinione pubblica pretende altrettanto dal suo successore, il quale ha capito che l'unico modo per ottenerlo è di allontanarsi dal modello Carter e dunque anche dai valori espressi da Nobel, quanto mai improvvido, ricevuto a Oslo.

Ora più che mai il suo modello è John Fitzgerald Kennedy, progressista e altrettanto affascinante, ma in politica estera tutt'altro che tenero, come dimostrò in occasione della crisi dei missili di Cuba. Un democratico duro e patriota, come Obama non è mai stato in vita sua. Alla guerra ha sempre preferito la pace, allo scontro i compromessi. Ora è costretto a cambiare o perlomeno a provarci.

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