Caro Granzotto, ci risiamo. LAccademia delle Scienze ha assegnato il Nobel per la pace al finlandese Martti Ahtisaari e come risultato ha fatto litigare Serbia e Kosovo che pure rientrano «nei suoi importanti sforzi» di mediazione e di pacificazione. Inoltre, come ha scritto Mario Cervi, Ahtisaari è noto per il suo antiamericanismo, che sembra essere il metro di misura per lassegnazione del prestigioso premio. Siamo giunti al punto che il non ricevere il Nobel diventa un titolo di merito?
Ora non voglio tirare in ballo - sarebbe troppo facile, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa - il Nobel per la letteratura appioppato a Dario Fo, ma certo è, caro Bellini, che i membri della Accademia Reale delle Scienze svedese non finiscono mai di stupirci. Martti Ahtisaari! Anche se di lui tutto si può dire meno che lavorasse per la pace, il povero Alfred deve rivoltarsi come un matto nella tomba. Nonostante la scelta bislacca è però doveroso aggiungere che almeno questa volta i giurati non lhanno fatta fuori dal vaso, resistendo alla tentazione di assegnare il Nobel per la pace a chi con la pace nulla ha a che spartire. Come fu il caso di Al Gore, il cui ben retribuito impegno nellambientalismo catastrofista centra, con la missione pacificatrice, come i cavoli a merenda. A competere con quel Carneade di Martti Ahtisaari cerano infatti due candidati di pondo, fin troppo noti e trendy: Gao Zhisgeng (che i bookmaker davano per favorito) e Ingrid Betancourt. Luno, rispettabilissimo dissidente cinese. Laltra, ex ostaggio nelle mani dei guerriglieri delle Farc, Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia. Cosa centri il dissenso - enfatica manifestazione dinsofferenza nei confronti del benedetto dialogo - con limpegno pacifista è un mistero. Cosa poi centri, sempre con la pace, la detenzione nella giungla lo sanno solo - e neanche è detto - madame Carla Bruni maritata Sarkozy e la direttora dellUnità Concita De Gregorio, due sfegatate sostenitrici della languorosa e ambiziosa leader del «Partido Verde Oxigeno». Visto che ne dobbiamo parlare le confesso, caro Bellini, che Ingrid Betancourt non mi è simpatica. Le avessero dato il Nobel (e lei era così certa di riceverlo daver indetto una conferenza stampa prima ancora che lAccademia si pronunciasse) ce la saremmo dovuta risorbire in tutte le salse. Avremmo dovuto nuovamente subire il suo birignao sospiroso e quegli atteggiamenti da fragile, indifesa e vulnerabile creatura smentiti, però, dai sei anni di cattività nel folto della foresta dalla quale è riemersa - grazie allintervento dei gringos, mica no - più in forma che al termine di una permanenza in una beauty farm.
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