Economia

Il Nobel Vernon Smith: "Questa crisi non è la fine del mondo"

ESCLUSIVO. Intervista all'economista, ospite dell'Istituto Bruno Leoni a Milano. Che boccia il piano di salvataggio americano voluto da Paulson, ma promuove le banche centrali

Il Nobel Vernon Smith: "Questa crisi non è la fine del mondo"

Più che un Premio Nobel, Vernon Smith sembra un attore da film western: il volto magro, leggermente scavato, gli zigomi pronunciati, i baffi squadrati, vestito tutto di nero. Fino a qualche anno fa amava lasciar crescere i capelli e raccoglierlo a coda, ora che ha appena compiuto gli 80 anni opta per un taglio un po' più tradizionale. Nel 2002 l’Accademia reale delle scienze svedese lo ha premiato per "avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d'incertezza". E in questi tempi di grande turbolenza la sua opinione è quanto mai preziosa.

Lunedì scorso era a Milano, invitato dall'Istituto Bruno Leoni, il think tank liberista brillantemente diretto da Alberto Mingardi, che nell'occasione ha festeggiato il primo quinquennio di attività. A margine della conferenza, Vernon Smith, professore alla Chapman University School of Law and Economics in California, ha concesso questa intervista al Giornale.

Ormai dilaga il pessimismo e c'è chi pensa che questa crisi sia irrerversibile o comunque molto peggiore delle altre. Condivide?
"No, io penso che ne usciremo e anche abbastanza bene. Il problema è che quando sei in pieno alla crisi è difficile capirne la portata e il pessimismo tende a dilagare. Anche negli anni Ottanta, nel '97 e nel 2001 sembrava fossimo sull'orlo della fine del mondo. E invece l'economia si è ripresa, andrà così anche questa volta".

Ma con quali tempi?
"Questa è la domanda a cui nessuno può rispondere e io non ci provo nemmeno. C'è chi dice che abbiamo già toccato i minimi e chi invece pensa che si debba scendere ancora. Io sono convinto che queste fasi rappresentino un'ottima opportunità di investimento, ma è difficilissimo azzeccare il momento ideale. Warren Buffett, ad esempio, pur essendo esperto e prudente ha acquistato troppo presto. Ma è facile dirlo adesso".

Il piano di salvataggio di Paulson la convince?
"No. Il Tesoro americano come fa a decidere quali istituti salvare e quali no? Perché soccorrerre un'industria come quella automobilistica che non ha più le forze per restare sul mercato? L'esperienza degli anni Ottanta dimostra che interventi di questo tipo alla lunga sono onerosi e inefficaci".

E allora che cosa auspica?
"L'acquisto diretto di nuove obbligazioni, con un termine non superiore ai cinque anni, convertibili in azioni senza il diritto di voto a prezzi fissati più alti rispetto al valore attuale dei singoli istituti finanziari ed esercitabili soltanto dopo un anno. L'idea è quella di ricapitalizzare incentivando i privati a fare altrettanto".

Come giudica il comportamento delle Banche centrali?
"Si sono mosse bene, evitando di ripetere gli errori commessi nel '29. Hanno fatto quel che ci aspettava e pure questo non è bastato a scongiurare il tracollo delle azioni, a dimostrazione di come l'economia non sia una scienza esatta; però non sono catastrofista. Ripeto: ne usciremo".

Lei sostiene che in questa crisi finanziaria "il nemico siamo noi". In che senso?
"La madre di tutte le bolle speculative sugli immobili americani è stato il varo del "Tax Relief Act" del 1997, una norma chiave firmata dal presidente Bill Clinton, voluta da Robert Rubin, segretario al Tesoro e da Lawrence Summers, con il plauso dei Repubblicani. Quel provvedimento permetteva di rivendere dopo solo due anni di possesso a un altro aspirante proprietario la vostra casa senza pagare le tasse sul capital gain fino a 500mila dollari".

E che male c'è?
"Il fatto che a beneficiare di questa esenzione fiscale fosse solo il mercato immobiliare. Io all'epoca proposi di estendere il provvedimento anche a tutte le rendite finanziarie (borse, obbligazioni, eccetera), ma non fui ascoltato. Risultato: gli investimenti si sono riversati sul mercato immobiliare. I prezzi hanno cominciati a crescere proprio nel '97 e hanno continuato fino al 2007, quando la bolla è esplosa.

Ma a provocarla è stato il governo americano".

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