Si è autoincoronato «Delegato Speciale del Comitato per le Relazioni Culturali con i Paesi Esteri del Governo della Repubblica di Corea». E indossa una vera divisa dell'esercito di Pyongyang con tanto di medaglie vinte per la sua instancabile attività di proselitismo nel mondo. Alejandro Cao de Benós de Les y Pérez, è un 44enne figlio di un'antica famiglia di nobili feudatari catalani, ma è conosciuto come l'unico occidentale accreditato come diplomatico e collaboratore alla corte di Kim Jong-un che regna dal 2011 sulla Corea del Nord, il paese che sembra pura fantascienza distopica, ma che Alejandro descrive come «il miglior posto nel mondo dove vivere e crescere i propri figli: nessuna violenza, nessun furto, nessun drogato o povero per strada. Un'utopia, non distopia».
Alejandro organizza non meno di quaranta incontri all'anno nelle università spagnole per raccontare il vero volto del territorio a Nord del 38° parallelo, quello non distorto dai detrattori che descrivono Kim Jong-un come «un pazzo sanguinario». «Una falsità: un'ora dopo la notizia di un'esecuzione, ricompare in tv la presunta vittima». Se non fosse per la mancanza di telefoni e internet, e anche dell'olio d'oliva, non lascerei mai Pyongyang».
La capitale dell'impero del male ha la medesima popolazione di Madrid, 3,2 milioni, però la superficie della città spagnola è di 670 chilometri quadrati, mentre quella di Pyongyang è di 2mila. Tanto spazio per cosa? I palazzi sono falansteri biblici, abitati per metà, le strade hanno fino a otto corsie, ma vi circolano pochissime auto. «È qui che si vede la grandiosità della Corea del Nord», spiega Alejandro a Il Giornale che l'ha intercettato in una delle sue lezioni coreane a Madrid. «Grandi spazi per tutti, dalle piazze ai parchi alle rive del fiume Potong, tutto pensato per le famiglie». E anche per organizzare le imponenti sfilate militari pensate per mostrare i muscoli, quando poi i missili sono finti. «Kim Jong-un non è un guerrafondaio, ha paura che il suo popolo venga invaso dalla Corea del Sud e dagli americani, come fecero settant'anni fa. C'è stato un incontro importante con Trump, ma ora siamo tornati agli insulti. Il líder maximo è padre di una bambina, non vuole una guerra nucleare».
Attorno a Kim Jong-un fioriscono i misteri. Oltre ai 340 giustiziati, gli si attribuisce la morte dello zio Chang Sung-taek, colpevole del mancato colpo di stato, giustiziato con un missile aereo, tanto da non lasciarne le scarpe. Poi l'avvelenamento del fratellastro Kim Jong-nam. E, ultime notizie, sembra abbia fatto giustiziare la squadra di diplomatici inviata a Pechino per i falliti colloqui sul nucleare con Washington, risparmiando la sorella Kim Yo Jong, ricomparsa ai recenti «Giochi dei Popoli». «Il 90% di ciò che si dice su di lui è falso continua Cao de Benós . Kim Jong-un tiene alla sua privacy e a quella della moglie e dei suoi parenti che, per motivi di sicurezza, vivono sotto false identità, per pericolo di rapimento». Della moglie Ri Sol-ju o Lee Seol-ju si sa che è una cantante di una band tipo Spice Girls, famosissima in Cina. Il matrimonio tra i due sarebbe avvenuto nel 2011 e, qualche anno dopo, è nata Ju-ae. «Sì, lo confermo, tutto il resto è secretato».
Alejandro si è innamorato della Corea del Nord a sedici anni quando organizzò un tour per Barcellona e Madrid di un gruppo di nordcoreani, poi ha creato la Korean Friends Association (KFA), per diffondere la cultura nel mondo, non di certo il gossip. Organizza anche viaggi guidati a Pyongyang, dall'Europa, dalla Cina, dalla Russia e dall'Australia: è lui che prepara e presenta la domanda al governo coreano per permettere ai turisti di mettere piede in Corea del Nord. «La Cina è il paese più solidale, per la sua storia comunista. E anche la Russia dove risiedono molti nordcoreani. La KFA conta su 15mila soci, americani e inglesi sono i più numerosi». Alejandro ha avuto il tempo per conoscere Kim Jong-il, il «caro leader», «persona generosissima che mi ha ricoperto di regali», ma è con il figlio che ha instaurato una forte amicizia. «Benché io non lo abbia mai visto di persona, in oltre vent'anni, ci siamo sentiti al telefono», mi ha nominato ambasciatore mondiale della loro cultura». Anche del «Juche», la filosofia comunista che eleva i coreani a una classe superiore, stile nazismo? «No. È propaganda americana che dà un'immagine distorta della Corea del Nord. Juche significa socialismo coreano. È la nostra versione del socialismo come l'ha sviluppato Kim Il-sung. Come potrebbe la Corea del Nord essere razzista quando ha dato sostegno per anni ai paesi africani? Gli Usa si credono superiori a tutti e invadono con la loro cultura decadente». Poi, Alejandro, si raffredda e parla di riunificazione: «Dipende tutto da Seul: se vuole sostenere la vera identità coreana, ci sarà una Corea sola. Credo a un modello federale, in grado di mantenere il comunismo al Nord e il capitalismo al Sud, ma con frontiere aperte e un parlamento cooperante su progetti comuni. Però, prima gli Stati Uniti devono andarsene». Alejandro, che viaggia con un passaporto coreano diplomatico, con sopra il nome Cho Son Il (la Corea è unica), dal 2002 è delegato al ministero degli Esteri nordcoreano e ha costruito e gestisce il sito istituzionale del paese. Di Kim Jong-un dice: «Assomiglia molto al padre, ma anche al nonno (Kim Il-sung, l'eterno presidente, ndr), da cui ha preso la qualità di parlare col popolo e ricevere le delegazioni straniere, ma ha anche la tempra del padre: ama l'arte della guerra, la storia». Ama anche i grandi vini e formaggi francesi e le zuppe di tartaruga.
Si racconta sia un bulimico, mangiatore notturno e grande fumatore. «Posso dirle solo quanto sia rimasto deluso dell'accordo saltato con Trump. La sua più grande paura è che il suo paese perda l'indipendenza e mostra i muscoli».
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