Noi del bar Sport beffati da Calciopoli

BERGAMO Il designatore non deve parlare con questo e quell’altro dirigente. Non è accettabile

Napoli, domani. Sembra che il mondo debba fermarsi. Alta tensione e fiato sospeso per la nuova udienza del processo contro Moggi. Da diversi giorni, proprio l’assediato Moggi prepara la più grande ripartenza che il calcio italiano ricordi: sbobinando un quintale di intercettazioni, misteriosamente ignorate in Calciopoli 1, il grande inquisito cercherà di aprire Calciopoli 2, trascinando nelle grane anche sua santità Massimo Moratti.
Nelle poche ore che ancora ci dividono dall’annunciato botto, c’è già molto di cui discutere. Diversi difensori d’ufficio del presidente interista, indignatissimi per questo imprevisto colpo di coda, si stanno affannando a distinguere tra le orrende porcherie accertate di casa Juve e le lievissime bazzecole addebitate ora a Moratti. Sinceramente, non si capisce il senso dell’operazione: qui, tra noi, al bar Sport, nessuno vuole riabilitare la Juve e Moggi, né tanto meno sostenere che Moratti abbia commesso crimini inauditi, semplicemente bisogna capire se anche le abitudini telefoniche di Moratti meritassero comunque una qualche censura (sicuramente, non la causa di beatificazione precipitosamente avviata all’epoca).
Così, tanto per non dimenticare: non è vero che da Calciopoli 1 sia uscita a pezzi soltanto la Juve, perché anche altre società come Milan, Lazio, Fiorentina e Reggina pagarono un certo prezzo. Dunque, caso mai si può dire che da Calciopoli 1 sia uscita immacolata soltanto l’Inter. Questo il punto: davvero possiamo credere che soltanto l’Inter, tra i grandi club, fosse immune da qualsiasi macchia?
Le telefonate diabolicamente riproposte da Moggi arrivano come missili terra-aria a colpire proprio questo dogma. Non tanto a riabilitare tutti perché così facevano tutti, ma eventualmente a censurare tutti perché così facevano tutti. Inter compresa. Moratti, con gesto apprezzabile, si è già offerto volontario per parlare con i giudici. Il tentativo sarà di far notare la differenza tra i giochi pesanti di Moggi e le sue quattro chiacchiere con il designatore Bergamo. Su questo punto, però, è difficile capirsi. Chiaramente le sentenze devono tener conto della diversa gravità, ma noi che semplicemente tifiamo il calcio abbiamo un problema ben più sostanziale: ingenuamente, pensiamo che comunque nessun dirigente di nessuna società debba stare al telefono con il designatore. Per noi illusi, il designatore dovrebbe essere privo di telefono. E se anche l’avesse per parlare con la famiglia, comunque non dovrebbe mai rispondere alle chiamate dei club. Tanto meno dovrebbe chiamare lui.
Può darsi che questa sia un’utopia priva di senso, ma allora ce lo dicano chiaramente. Ci dicano che i dialoghi confidenziali su arbitri, guardalinee e collaboratori sono inevitabili, abituali, necessari, così almeno ci mettiamo il cuore in pace e nessuno più si stupisce per la scoperta di aggiustamenti, concessioni, favori e taroccamenti.
Già che ci siamo: vogliamo forse dire che questo signor Bergamo (sì, i bravi cronisti prepongono sempre signor al nome dell’arbitro, come se fossero gli unici signori dell’ambiente: mi pare che almeno questo servile riguardo potremmo tranquillamente abolirlo), vogliamo dunque dire che questo signor Bergamo giganteggi da figura imparziale, al di sopra e al di fuori di tutte le trame, massimo garante della delicata gestione arbitrale? Come no, basta leggere. Dalle intercettazioni emerge un Alberto Sordi al centro del sistema, un po’ autorità e un po’ maggiordomo, più maggiordomo che autorità, preoccupato soltanto di compiacere le amicizie potenti e influenti, a qualunque costo, costasse pure un capitale di telefono.
Domanda: è questa la figura di designatore che il calcio deve accettare? Io mi schiero: no, non lo deve accettare. Non si può accettare che una figura così strategica conduca un’allegra vita di relazione con questo o quel dirigente. Ciascuno a casa propria, con il telefono staccato: questo l’unico modo per lasciare tutti tranquilli, nei club e qui al bar Sport. Perché sia detto senza offesa, a scanso di puerili ipocrisie: Giacinto Facchetti resterà per sempre un personaggio amatissimo e stimatissimo, ma questo non toglie che le sue confidenze e i suoi incontri con Bergamo fossero comunque quanto meno inopportuni. Lo so che simile discorso, per i difensori d’ufficio dell’Inter, suona dissacrante e blasfemo.

Facchetti, si affannano a ripetere nella più affranta indignazione, va lasciato stare. Ma quando si cerca la verità, bisogna tenersi le mani libere. Non è in discussione la memoria di un campione: sono solo in discussione il tono e i contenuti delle sue telefonate. Si nota ancora la differenza?

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