Noi, cacciati dai mercanti del calcio

Ho sofferto, sperato, sorriso e pianto. Solo per il Toro, in questa stanza buia, lontano dai corvi e dagli avvoltoi. Solo. Io non ho fratelli né cugini calcistici, ma solo nemici. Sono un bastardo del calcio, rimasto orfano prima di nascere e cresciuto a pane e fiori appassiti. Della cioccolata conosco solo l’odore ma riconosco il letame a distanza. La nostra retrocessione puzza di arbitraggi sconsiderati, di scelte confuse, di scarsezze congenite. Qualcuno dirà: ma non siamo più deboli di chi ci precede, solo maledettamente più sfortunati. Ma la sfortuna è una di quelle categorie kantiane alle quali si appellano gli sciocchi, come me, che non vogliono vedere. Questo sport è nudo, depredato e svillaneggiato dai mercanti del tempio, dai signori dei diritti tv che giocano a fare Dio decidendo a tavolino le proprie sorti e quelle altrui. Resta chi ci sta a farsi comprare, a prostituirsi, a spiare i giocatori imbottiti di medicine, a venderli al miglior offerente senza scrupoli, a corrompere arbitri e dirigenti senza vergogna. E che, beccati col sorcio in bocca, balbettano di serietà e onestà. Non è tempo per noi, che abbiamo aiutato questo Paese a risorgere dalle macerie. A Cairo chiedo, in ginocchio, di non fare affari con questi figuri. Nessuno, nemmeno i granata più scarsi di quest’anno, meritano di indossare altre maglie.

Non vendere la tua, la loro, la nostra dignità per un pugno di euro a chi ci ha cacciato a calci. Non è coi nostri spiccioli, bensì col nostro sangue che vogliono ripulirsi le coscienze. E noi ne abbiamo già versato abbastanza.

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