La faccia di Domenico è bella tonda, potrebbe essere una pizza margherita o un torta alla fragola, per il colore rosaceo e il calore che emana. Gli occhi sono profondi, scuri come olive, sono quelli di un pugliese verace che però parla lumbard, come da repertorio dei terruncielli emigrati sotto la Madunina. Domenico Gattullo, di anni sessantasette. Avercene. Milano si slabbra, Milano vende moda e si vende anche pezzi di storia, negozi, ditte, fabbriche, fette di unepoca smarrita. Gattullo esiste e resiste al logorio della vita moderna, sta lì a porta Ludovica dal primo giorno di maggio dellanno millenovecentosessantuno. «Dodici milioni, tanto costò la licenza di esercizio».
I Gattullo figli erano tre, Domenico appunto, poi Umberto che si è comprato un altro locale il Blues Canal, sui Navigli: «Gli ho rilevato il cinquanta per cento della società dopo trentotto anni di vita comune» e Franco titolare della gelateria Milano doc. Ma i Gattullo avevano messo anima e corpo a Milano quando nessuno potrebbe immaginarlo. Domenico racconta (...)
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