Noi del Giornale, da 35 anni una stecca fuori dal coro

Caro direttore,
chissà quante volte avrà ricevuto una lettera che iniziava così: «Sono un lettore dal primo numero del Giornale». Come se fosse una sorta di parola d’ordine, di lasciapassare per guadagnarsi uno spazio che ci spetta di diritto. Oggi, direttore, il nostro Giornale compie 35 anni e io mi sento di fare, a lei, ai suoi giornalisti e, soprattutto, a tutti gli altri amici che leggono il Giornale, un augurio di lunga vita al nostro quotidiano. Ce lo meritiamo. Tutti noi siamo uniti da quei valori liberali che hanno ispirato Montanelli, ideali che hanno continuato, numero dopo numero, a restare ben vivi nelle pagine del "nostro" quotidiano. Essere lettori di questa testata è qualcosa di speciale e ineguagliabile: lei stesso avrà sperimentato, in questi suoi brillanti primi anni di direzione, la forza di un popolo capace di stringersi attorno al suo quotidiano come nessun altro. Sarà che chi l’ha comprato fin da quel lontano 25 giugno 1974, lo ha spesso fatto rischiando la propria incolumità; ancora adesso, del resto, girare con il nostro quotidiano sotto il braccio induce qualche "rosso" a etichettarci con odio con il solito "fascisti" di turno. Poco importa, perché vuol dire che il Giornale riesce ancora a far male, a rompere gli schemi di una stampa tutta, o quasi, orientata a sinistra. Per questo motivo, direttore, la ringrazio per tener alto il nome del nostro quotidiano e, se permette, ringrazio anche chi, finanziariamente, lo sostiene permettendoci, ogni mattina, di ritrovare il nostro fedele amico in edicola.
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Caro Bolla, sì, spesso i nostri lettori, quando ci scrivono o ci telefonano o ci incontrano, si presentano con quella premessa orgogliosa: «Vi leggo fin dal primo numero», e molte volte aggiungono un fiero «tutti i giorni». Fu chiaro fin dall’inizio: chi acquistava e leggeva il Giornale, non lo faceva solo per avere uno strumento d’informazione; lo faceva per sentirsi appartenente a una specie di club, o come dice lei a «un popolo». Un club e un popolo che trentacinque anni di storia hanno consolidato in una sua caratteristica: quella di essere sempre controcorrente. Montanelli diceva che il Giornale era «una stecca fuori dal coro». La è ancora.
Può sembrare paradossale ribadire questa caratteristica oggi che il comunismo non c’è più e che i suoi eredi arrancano, come anche le ultime elezioni hanno dimostrato. Oggi che al governo c’è il centrodestra e che presidente del Consiglio è Silvio Berlusconi, l’uomo che permise al Giornale di vivere già nei suoi primi anni. Eppure è così. Le nostre idee sono maggioranza nel Paese della realtà, ma ancora esigua minoranza in quello dell’informazione, della cultura, della cosiddetta intellighenzia, dei salotti buoni e dei poteri forti (ha presente che cosa sta accadendo in questi giorni?).

C’è tutta un’élite ancora potentissima che vorrebbe scomunicarci, estrometterci dal consesso civile, rinchiuderci in un ghetto. Non ottengono altro risultato che la moltiplicazione delle nostre energie. In fondo, anche loro sono la nostra forza. Grazie caro Bolla, grazie cari lettori.

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