Dagli eroi dello sport alle grandi menti dellindustria, dai raffinati intellettuali ai preti - anticamorra; anche il nostro cinema rivaluta la biografia, raccontando sul piccolo e grande schermo un «Whos who» tricolore, con le incredibili storie di celebri italiani, morti o viventi. Massimo Ranieri per esempio è sul set viterbese di Pasolini, la verità nascosta, film di Federico Bruno (anche sceneggiatore, con Massimiliano Moccia), che vede Italia (Fandango e Rai Cinema), Spagna e Germania in una coproduzione di ampio respiro. Il cineracconto, focalizzato sullultimo anno di vita di Pasolini, prima del suo assassinio a Ostia, nel 1975, ci porterà allinterno delle scelte private e politiche di uno tra i più significativi autori contemporanei. Bruno Ganz, nei panni dun giornalista tedesco, indagherà sui rebus della nostra storia recente, studiati da Pasolini durante la stesura di Petrolio, saggio-denuncia sullo Stato eversivo. Gran parte del film verrà girato nella torre medievale di Chia, nel bosco del Cimino, dove lo scrittore amava rifugiarsi e incontrare i ragazzi di vita. E se gli amanti del complottismo seguono la «pista Mattei», per giungere a unaltra verità, quanto alla fine di Pasolini, ecco un ulteriore aggancio con la miniserie Luomo che guardava il futuro (Raiuno, regia di Giorgio Capitani), con Massimo Ghini nella parte di Enrico Mattei, il coraggioso fondatore dellEni, anche lui morto in un supposto attentato di matrice mafiosa (il suo aereo Morane Saulnier 760, proveniente da Catania e diretto a Milano, precipitò in circostanze poco chiare nella zona di Pavia). Il rischio di farne un santino è minimo, perché la storia di Mattei, petroliere senza petrolio e oppositore delle Sette Sorelle, è densa di avventure internazionali e colpi di scena. Inevitabile, magari, il paragone con il film-inchiesta di Francesco Rosi Enrico Mattei (1972), con un Gian Maria Volontè strepitoso. In tv, però, sinsiste più sullumanità del protagonista che non sulla sua tragica scomparsa.
Allinterno del biopic italico, tuttavia, è raro trovare campioni dello sport, soggetti finora snobbati dal cinema radical chic. Però il regista Mimmo Calopresti sta per colmare la lacuna: tra un mese girerà un film documentario (pronto per il Festival di Roma) sul tennista romano Adriano Panatta, vincitore della Coppa Davis nel 1976 (Panatta stesso si racconterà). Il film, viaggiando sul tema del riscatto racconta il campione e la sua vita, da figlio del custode dei campi da tennis ai Parioli ad asso duna disciplina élitaria, passando per il lato playboy e per le contestazioni mosse al Panatta uomo di sinistra, che giocò nel Cile di Pinochet.
E mentre Carlo Lizzani dirige e si autoproduce (con supervisione di Roberto Saviano) un film su don Peppino Diana, prete anticamorra ucciso dal clan dei Casalesi nel 1994, Marco Bellocchio andrà quasi certamente a Cannes con Vincere, film ispirato alla vicenda di Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno), morta in manicomio nel 1937, perché invisa al regime fascista e quindi perseguitata. La donna sosteneva dessere la prima moglie di Mussolini (Filippo Timi) e lopera si concentra sulla vicenda amorosa tra la Dalser e il Duce, datata 1914 e sublimata dalla nascita dun figlio tenuto nascosto.
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