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"Noi piloti eravamo dei privilegiati. Poi sono arrivati i licenziamenti. E adesso c'è chi si trasferisce in Vietnam per 1.200 dollari al mese"

Giulio Brugnoli era fino a pochi mesi fa un comandante della Emirates. Poi è arrivata la pandemia ed è stato mandato a casa insieme ad altri 2mila colleghi. "Il nostro è ormai un mercato senza domanda"

"Noi piloti eravamo dei privilegiati. Poi sono arrivati i licenziamenti. E adesso c'è chi si trasferisce in Vietnam per 1.200 dollari al mese"

Giulio Brugnoli, 53 anni, è pilota da 28. Prima ha lavorato in Alitalia e poi, dal 2012, è stato comandante di Airbus 380 per Emirates. Oggi racconta con angoscia la sua ultima «rotazione», come si dice in gergo. Era prima del Covid, un secolo fa.

«Sono partito da Dubai per Malpensa il 6 marzo, l'8 marzo ho proseguito per New York, il 9 sono rientrato a Malpensa, il 10 a Dubai. Ero a Milano quando è stato deciso il lockdown. Mi ricordo che il 9, in una Malpensa deserta, il nostro era praticamente l'unico aereo in movimento, quando il 10 siamo ripartiti per Dubai eravamo l'unico equipaggio dell'aeroporto. Ho detto ai miei colleghi: questo è l'ultimo volo che facciamo, e così è stato».

Che cosa è successo?

«Il 25 marzo Emirates ha fermato tutti i voli del 380 e ci ha comunicato la riduzione del 50% dello stipendio. A fine maggio sono arrivati i primi 200 licenziamenti tra i 4.200 piloti che lavoravano nella compagnia. Io e altri 400 abbiamo ricevuto la lettera di benservito l'8 giugno, a luglio e a ottobre altre centinaia di tagli. Oggi i piloti rimasti in organico sono all'incirca 2.400, prevalentemente inglesi e australiani, che sono più affini alla cultura del gruppo. Italiani, spagnoli, greci, portoghesi sono stati i più colpiti, anche se la compagnia ha badato a non essere attaccabile su questo punto».

Aveva mai pensato che il suo settore potesse essere sconvolto da una catastrofe di queste proporzioni?

«Mai. Se me lo avessero detto non ci avrei creduto, la nostra professione ha avuto per decenni una crescita costante e senza paragoni, un pilota che avesse voluto cambiare compagnia non aveva che da scegliere. È una professione pregiata e internazionale, prima del Covid si stimava che tra il 2020 e il 2030 i vettori avrebbero fatto 600mila nuove assunzioni. Quando ho cominciato io a fare il pilota era qualcosa di più sicuro del posto in banca, non esisteva la possibilità di restare disoccupati. Oggi è saltato tutto, e mai più, anche dopo il vaccino, mai più sarà come prima. Gli aerei a doppio corridoio sono tutti a terra, Emirates ne usa cinque o sei, e dei 500 posti ne vengono occupati 50. Chi vola, oggi vola in perdita a causa dei costi pazzeschi: un A380 brucia 12 tonnellate di carburante all'ora, l'equivalente di circa 10mila dollari».

Emirates è sempre stata considerata una delle migliori compagnie al mondo. Lei come si è trovato?

«Splendidamente, almeno fino alla comunicazione del licenziamento, che è stata piuttosto rude. Un comandante ha uno stipendio di circa 10mila dollari, e poi tutti i benefit, casa, scuole internazionali, assicurazioni. Naturalmente c'è anche l'altra faccia della medaglia».

E cioè?

«Sei straniero e non hai protezioni. Il visto permanente è vincolato al lavoro, così, perso il lavoro, il visto è stato cancellato e sono tornato a Milano, la mia città: senza un posto e senza prospettive nemmeno di medio-lungo termine».

Che progetti ha?

«È un mercato senza domanda, impossibile pensare a un'assunzione. Sto facendo il possibile, ma senza risultato. Una compagnia vietnamita mi ha proposto 400 dollari al mese di stipendio più 25 dollari all'ora di volo: vuol dire ricevere 1.200 dollari a fine mese, con i quali, oltretutto, mantenersi fuori casa. Ci sono dei piloti che si sono offerti gratuitamente per un anno allo scopo di mantenere le abilitazioni. Quando il trasporto aereo ripartirà, molti saranno riassunti, tranne quelli che per fascia di età saranno ormai troppo vecchi. E cambieranno anche i contratti e le condizioni.

Ho il sospetto che le compagnie se ne approfitteranno».

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