La cucina tipica parmigiana si mangia, a Parma, in un ristorante minimalista e michelinato. Mi duole dirlo, siccome odio il minimalismo tanto quanto la guida rossa e straniera, ma è così. L'Incontentabile su questo punto ha rotto delle amicizie. Conoscenti e lettori che vengono da fuori gli chiedono spesso dove mangiare qualche piatto caratteristico e quando lui risponde Parizzi hanno reazioni fastidiose: «Ma Parizzi è un ristorante di lusso!». E allora? A parte che non è il Louis XV di Montecarlo, a parte che il menù degustazione costa 70 euri, perché mai raffinatezza e fedeltà dovrebbero essere incompatibili? Appaiono ben più inconciliabili memoria e sciatteria.
E comunque bettole pauperiste qui non se ne consigliano, gli amici grillini possono attingere altrove. Credere che si possa mangiar bene spendendo poco equivale a credere nelle favole, e figuriamoci a Parma, città che da secoli viene sopravvalutata e si sopravvaluta.
Bisogna anche mettersi d'accordo sull'accezione delle parole: chi fa rimare tradizione con mistificazione e indigestione, anziché con missione e perpetuazione, si accomodi pure nelle trattorie del centro sempre affollate di bocchebuone. Certamente da Parizzi non si trovano tris di tortelli né chicche della nonna né cappelletti alla panna e nemmeno quelle melanzane alla parmigiana che sono una gloriosa specialità meridionale, quindi chissà che c'entrano. Il bello è che i primi a cadere nelle trappole per turisti sono proprio gli indigeni e alcuni di questi, amici di troppo vecchia data, trascinano l'Incontentabile in cene disperanti a base di sfoglie spesse un dito, brodi annacquati, lambruschi caldi e chimici. Indimenticabile, pochi giorni fa, un rognone odor di vespasiano. Tutto bene? Ma certo, tutto bene. Che cos'altro puoi rispondere se abiti a pochi metri e il responsabile di una simile aggressione al tuo sistema sensoriale lo incontri un giorno sì e l'altro pure dal fruttivendolo, dal macellaio, per strada?
Marco Parizzi invita a un viaggio verso una città che probabilmente non è mai esistita e che forse non esisterà mai al di fuori della sua sala: una Parma ideale in cui tutto il bello e tutto il buono d'Emilia, più un pizzico di mondo, si fondono nel crogiolo di piccola capitale elegante.
Il wafer di parmigiano è un'invenzione degna di Bodoni e del suo raggiungere il sublime attraverso il semplice. A domanda sulla genesi di questo benvenuto dall'aspetto grafico, dal sapore trascinante e dalla consistenza perfetta, Parizzi risponde mostrando una waferatrice Kitchen Aid con cui chiunque altro avrebbe fatto i wafer soliti e stop. Possono mostrare tutti gli oggetti che vogliono e possono parlare a lungo, i cuochi, ma è inutile ascoltarli, tanto, a casa, emularli è impossibile. Nonostante il padrone di casa sia da tempo un divulgatore vuoi in televisione, nel programma di Antonella Clerici, vuoi nell'attrezzatissima scuola di cucina incastonata nel suo ristorante. A proposito di televisione: di norma i cuochi quando diventano personaggi tv perdono la testa o quantomeno la consuetudine ai propri fornelli, Parizzi è l'unico chef a cui il piccolo schermo abbia fatto bene. Non era mica così bravo, una volta. Si sospetta che il merito sia dello specifico ruolo rivestito nella Prova del cuoco: non protagonista a rischio di narcisismo bensì comprimario a rischio di errore. E quindi, per non sbagliare, per improvvisare in diretta senza fare figuracce, non si è mai seduto sugli allori e non ha mai smesso di studiare metodi e ingredienti. Sarà per questo che oggi dimostra una padronanza tecnica con pochi eguali in Italia, di cui però non mena vanto perché il carattere non glielo consente: è rimasto coi piedi anche troppo per terra, inchiodato a una città economicamente depauperata, politicamente degenerata, culturalmente decaduta, commercialmente desertificata, che ormai non lo merita. I suoi anolini in brodo confortano, più ancora che palato e stomaco, l'anima, e anche i tortelli di erbetta sono ineccepibili, ma qualcuno potrebbe parlare di primati municipali, ottenuti grazie a una concorrenza mediocrissima. Sulle carni il valore parizziano ha invece una gittata molto più estesa: vengono da lontano i carnivoristi più esigenti, memori di beccacce e agnelli valorizzati da superbe cotture. Ora è il momento di un fenomenale battuto di cavallo che è la versione aristocratica del tradizionalissimo, parmigianissimo pesto crudo: tagliato al momento con il coltello, anziché macinato chissà quando, arriva in tavola impreziosito da caviale italiano, uovo di quaglia, polline dell'Appennino. Più che gola è lussuria.
I difetti del ristorante Parizzi secondo l'Incontentabile, oltre a quanto citato all'inizio ossia minimalismo dell'arredamento e stella Michelin? La mancanza di finestre (ma esiste un lucernario), e la mancanza del miglior Lambrusco Maestri (la varietà locale di Lambrusco) ossia del nuovo I Calanchi di Monte delle Vigne, l'azienda di Pizzarotti Paolo (da non confondere col sindaco grillino Pizzarotti Federico, nemmeno parente).
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.