Il Propaganda è forse la massima espressione di un nuovo fenomeno molto romano, il bistrò con piatti regionali e cocktail internazionali. Sono locali aperti per buona parte della giornata (in questo caso da mezzogiorno alle due di notte, ma altrove si può anche fare colazione), quindi riescono a soddisfare le più svariate esigenze. A qualsiasi ora si può bere e mangiare qualcosa e sembra questo il futuro della ristorazione, così come sembrano il passato quei ristoranti che nelle piccole città del Nord, e non solo del Nord, alle dieci di sera chiudono la cucina e chi s'è visto s'è visto. Sono orari comodissimi per i clienti, molto meno per chi ci lavora (si spera che facciano i turni). Hanno nomi accattivanti: oltre che Propaganda si chiamano Baccano, Porto fluviale, Stazione di posta. Nonostante lo stile amichevole, nonostante le amatriciane e le carbonare che escono fumanti dalle cucine, non sono a conduzione famigliare come le vecchie trattorie pittoresche: per numero di coperti e di occupati, e per gli investimenti necessari, è lecito immaginare che siano società complicate e gestite con metodi manageriali. Sono gli studiatissimi dettagli vintage a rendere così piacevoli, così rassicuranti questi nuovi bistrò parigini alla vista e romaneschi al palato. Si prenda appunto il Propaganda: il bancone di zinco, il pavimento di legno, le piastrelline bianche, i lampadari a gocce, tutto è come fosse lì da un secolo e anziché l'impressione di un arredo comprato si ha l'impressione, ben più elegante e calda, del mobilio ereditato. Se lo storico inglese Eric Hobsbawm fosse ancora fra noi potrebbe aggiungere un capitolo al suo saggio «L'invenzione della tradizione», dedicandolo a questa tipologia di locali furbi e però non imbroglioni. Lo diceva anche Goethe che non c'è nulla di male, anzi, a ispirarsi al meglio del passato: «Non ho avuto alcuna idea che fosse del tutto nuova, ma le idee vecchie sono così piene di vita che possono sembrare nuove».
Come usare il Propaganda? Senz'altro come cocktail-bar (fra parentesi, uno dei migliori cocktail-bar d'Italia). Già il bancone, disegnato dal francese Atelier Nectoux, è un godimento: compiace gli occhi, il tatto e perfino la ragione (ci sono i ganci per le borsette come in certi banchi di chiesa). La lista delle bevande è fitta di ricette misteriose, dall'apparenza d'epoca ma chissà: la prima volta si è bevuto un 50 special (allusione ai Lunapop? Alla Vespa? Alla Colt?) a base di barolo chinato, la seconda un Pour Homme a base di un vermut mai sentito (altro piccolo fenomeno, quello dei nuovi vermut artigianali). Entrambi stupendi, perfettamente realizzati e con tutto il ghiaccio necessario.
L'ingrediente numero dei cocktail è il ghiaccio, che pur costando poco viene chissà perché economizzato nella maggioranza dei bar italiani: avete presente quei tristi Negroni con due cubetti di numero, già semisciolti quando ti mettono il bicchiere davanti, che anziché raffreddare annacquano? La verità è che il livello medio dei baristi è infimo e chi viene dalla provincia dopo essersi accostato al bancone del Propaganda è obbligato a fare confronti crudeli, a notare differenze strazianti con i bar abituali.
Dopo i cocktail ci si ricorda che nella vita oltre a bere bisogna ogni tanto mangiare e si chiede un tavolo. Oddio, tavolo è una parola grossa, qui si tratta di tavolini davvero ini e gli addetti al servizio sono bravissimi a forzare, se non violare, la legge della incompenetrabilità dei corpi: i piatti, le posate, i bicchieri, l'acqua, il cestino del pane, tutto viene inserito in una manciata di centimetri quadrati. Aprire il Bombino Olivella, discreto bianco laziale, diventa un gioco pericoloso: appoggiarlo sull'unico frammento libero del tavolino monogamba ed esercitare anche solo una lieve pressione col cavatappi significa candidarsi alla catastrofe, dopo un paio di sobbalzi, che fanno tintinnare tutti i vetri e temere il peggio, la cameriera decide di trasformarsi in acrobata per stappare la bottiglia tenendola a mezz'aria, senza appoggio. Numero di alta scuola: come le riesca lo sa soltanto lei. Risulta evidente che gli architetti del Propaganda hanno dedicato agli aspetti funzionali un decimo, forse un ventesimo, dell'attenzione dedicata agli aspetti formali.
Gli aspetti gastronomici sono curati in modo altalenante, come se in cucina lavorassero cuochi di abilità diseguale: superlativi i piatti a base di uova come l'uovo in camicia con asparagi croccanti e le uova all'occhio di bue cosparse di parmigiano (non per nulla si avvalgono della suprema materia prima fornita da Paolo Parisi); buono il tris di carciofi (alla giudia, alla romana, in insalata con menta e limone); opinabile l'amatriciana in cui non si sente la cipolla e si sente tanto la carota, quindi dolciastra; invitante il pane (che comunque a Roma, capitale della lievitazione, della pizza gourmet e della pasta madre, è buono in tanti posti); terribile il coniglio, magari saporito però tutt'ossi, sicché prima di riuscire a masticare qualcosa bisogna combattere dieci minuti con lo scheletro dell'animale (nel 2014 il coniglio va servito disossato anche in un locale vintage, diamine!); solo normale il gelato. Verrebbe voglia di consolarsi con un altro cocktail...
Queste naturalmente sono valutazioni da Incontentabile, mentre i normali avventori, sia italiani che stranieri, trovano, del Propaganda, brillante ogni sfaccettatura: cocktail-bar, sala da tè, bistrò-trattoria. E così lo affollano e lo rendono rumoroso. Forse al Propaganda non bisognerebbe fare propaganda, va già troppo bene di suo: eppure è da vedere, per la fusione felice di Italia e Francia, fascino del passato e formula del futuro.
Magari evitando le serate forti e scegliendo una giornata di pioggia, un pomeriggio di stanca, quando esplode il romanticismo di questo locale sulla via Claudia, la strada che dal Colosseo sale verso la cima del Celio verdeggiante, e al tavolino là in fondo sembra di vedere Paul Verlaine che beve un bicchiere di assenzio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.