Politica

«Ma non basta per tutelare la nostra privacy»

da Roma

Nel 1997 Leonardo Filippi, ordinario di Procedura penale all’Università di Cagliari, ha scritto un libro sulle intercettazioni telefoniche che fa tuttora testo tra gli esperti e oggi prepara una monografia sul disegno di legge Mastella, presentato quest’estate dal ministro della Giustizia e arrivato all’esame delle Camere. In più di 10 anni, denuncia, non è cambiato niente nella disciplina di questo grave problema e continuano a essere applicate le norme del codice del 1988, gravemente carenti soprattutto sul fronte della tutela della privacy del cittadino.
Adesso, finalmente, qualcosa si sta muovendo, ma si va nella direzione giusta con il decreto-legge del governo?
«Si interviene solo per le intercettazioni illegali, per evitarne la diffusione e ordinare che siano distrutte. Sicuramente è il segnale di un risveglio della politica per la tutela della privacy. Ma è meglio che per una materia così importante si segua la via parlamentare. Magari bisognerebbe a questo punto stabilire una corsia preferenziale e impegnarsi, maggioranza e opposizione, ad approvare al più presto una regolamentazione dell’intero settore delle intercettazioni, colmando un gravissimo ritardo».
Si dovrebbe partire dal testo di Mastella, secondo lei?
«Il ddl approvato dal Consiglio dei ministri il 4 agosto non è condivisibile, perché è improntato a un becero proibizionismo, ma non affronta nel modo migliore i problemi. Già la pdl Berlusconi-Castelli è più attenta alla selezione delle intercettazioni. Comunque, da qualsiasi testo si parta, l’importante è avviare il confronto e approvare una buona legge in tempi brevi».
Quali sono i punti che non condivide del ddl Mastella?
«Le norme attuali cercano un compromesso tra diritto di cronaca e segreto investigativo e stabiliscono, ingenuamente, che è lecito divulgare alla fine delle indagini il contenuto delle intercettazioni, non il testo. Ma nel codice dell’88 non si tutela affatto la riservatezza dei terzi coinvolti, né si distingue anche per il materiale che riguarda gli indagati, tra quello penalmente rilevante e quello che non lo è. Se dalle intercettazioni emerge che un tizio è gay o che sniffa cocaina, ad esempio, anche se non serve ai fini processuali può essere materiale ghiotto per il gossip giudiziario-giornalistico. E il legislatore non fa nulla per impedire che certi particolari intimi e privati vengano dati in pasto all’opinione pubblica. Il testo-Mastella prevede che le notizie irrilevanti penalmente siano conservate in un archivio riservato, sotto la responsabilità del Pm. Perché non distruggerle? Oltretutto, la custodia è rischiosa e costosa. Basterebbe che il Pm e il difensore dell’indagato concordassero sui brani irrilevanti in Camera di consiglio, poi il Gip potrebbe selezionarli e farli distruggere prima dell’udienza preliminare. Inoltre, si prevede che le intercettazioni siano tutte ascoltate e conservate in Procura, ma è generico sui cosiddetti centri di registrazione. Il fatto che il servizio sia svolto da privati, esternamente agli uffici giudiziari, moltiplica enormemente il rischio che i contenuti vengano diffusi. Ecco perché non basta colpire editori e giornalisti, ma bisogna prevedere che tutta l’attività di intercettazione si svolga all’interno delle Procure, anche se in appalto a privati.

Queste mi sembrano due correzioni indispensabili».

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