Politica

«Non c’è prova che la scarpa colpì Matilda»

Un perito alleggerisce la posizione della mamma accusata di aver ucciso la bimba di 22 mesi

Nadia Muratore

da Torino

Sembra vacillare, da parte della procura di Vercelli, la certezza che a uccidere Matilda, 22 mesi, sia stato il calcio sferrato dalla mamma, Elena Romani. Roberto Testi, medico legale dell’accusa, nella relazione presentata ieri al Tribunale del riesame di Torino, scrive: «Non c’è certezza sulla compatibilità tra la scarpa e le ecchimosi riscontrate sul corpo della bambina».
Per un punto a favore della difesa c’è però una nuova versione delle intercettazioni ambientali eseguite dai carabinieri. La donna, alla guida della sua auto, avrebbe detto: «Matilda, non posso pagare per una cosa che non volevo fare. Non posso credere di aver dato un calcio alla mia bambina, ho perso la calma, è colpa di Antonio». «Gli indizi più pesanti dell’accusa - ha detto Roberto Scheda, l’avvocato che insieme a Tiberio Massironi assiste la Romani - sembrano basarsi solo sulle intercettazioni che, tra l’altro, cambiano ogni volta che vengono analizzate». Ma i pm Antonella Barbera e Muriel Ferrari le considerano un grave indizio.
È ancora indagato per omicidio volontario Antonio Cangialosi, ex compagno della Romani che si trovava in casa nel momento in cui Matilda non si è sentita bene, ma secondo la procura la sua è una posizione marginale. A tirarlo in ballo sono i difensori della giovane madre: «Se il corpo contundente che ha colpito la bimba fosse la scarpa, questa poteva anche non essere calzata». E le sole persone presenti nella villetta di Roasio erano Elena e Antonio. «La difesa della Romani - spiega Sandro Delmastro, legale dell’uomo - punta a spostare l’attenzione su Cangialosi, evidenziando che tra lui e la piccola non ci fosse un buon rapporto. Questo non è vero». A dimostrazione di ciò il testo di un sms firmato «Elena e Mati»: «Ringraziamo il Signore di averti incontrato, con te siamo felici».
Secondo la difesa della Romani, tra una decina di testimoni che hanno soccorso la piccola solo uno ricorda il livido sul corpo della bimba. L’ecchimosi, ma questo sarà la perizia a stabilirlo, potrebbe essersi formata dopo il decesso. Per quanto riguarda le décolleté Roberto Scheda ha detto al giudice: «Non è credibile che una donna, che sta riposando sul divano con il suo compagno, si alzi e infili un paio di scarpe rosa, come in una sfilata». Alla fine dell’udienza Elena ha detto al giudice: «Mati era tutta la mia vita, l’ho sempre amata». Il magistrato ha tempo dieci giorni per accogliere o respingere l’istanza della difesa che chiede la scarcerazione per la donna o gli arresti domiciliari presso la casa dei genitori, a Senago.

Oggi a Busto Arsizio, ad oltre un mese della morte, si svolgeranno i funerali della piccola Matilda.

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