Non canta l’inno nazionale: docente condannato a Tokyo

Ammenda di 1.400 euro, ma l’accusa aveva chiesto otto mesi di reclusione

da Tokyo

I calciatori giapponesi ai prossimi mondiali dovranno stare ben attenti a non imitare quelli italiani, talora «smemorati» durante l’esecuzione dell’inno nazionale. I giocatori nipponici che non intonassero il celebre «Kimigayo» rischierebbero infatti di essere denunciati e condannati a un’ammenda di almeno 200mila yen (circa 1.400 euro), come è accaduto a un insegnante di Tokyo, diventato un caso nazionale. La vicenda cominciò nel 2004, quando il professore di scienze sociali Katsuhisa Fujita si rifiutò di cantare l’inno nazionale durante la cerimonia di fine anno nel suo liceo, invitando i presenti a fare altrettanto. Nonostante le sue complesse argomentazioni, Fujita fu denunciato alla magistratura per aver «disturbato e ritardato» la cerimonia. E ieri è arrivata la condanna a pagare la bellezza di 200mila yen. Ma Fujita non si è arreso e ha presentato subito istanza di appello. Ha poi voluto parlare con i giornalisti proclamandosi «esterrefatto» per la «pericolosa deriva totalitarista in cui rischia di sprofondare il Giappone» e per «questo attentato al diritto di libera opinione». L’accusa aveva chiesto 8 mesi di reclusione, affermando che il gesto dell’insegnante avrebbe causato un’«insubordinazione generale». La Corte però si è rifiutata di accogliere questa tesi, precisando che Fujita «non voleva intenzionalmente bloccare la cerimonia». I giudici hanno comunque chiarito che, «mentre la libertà di pensiero e opinione deve essere garantita, non deve essere consentito disturbare le attività altrui» e rovinare l’esecuzione di eventi ufficiali. La storia però ha anche uno sfondo politico.

È infatti del 2003 una controversa direttiva del Consiglio per l’Istruzione di Tokyo, che obbliga le scuole pubbliche a esporre la bandiera ed eseguire l’inno nelle cerimonie ufficiali, minacciando sanzioni per gli insegnanti che non si attengano alle regole.

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