«Non ce la faccio ad atterrare, scendo in acqua»

Il comandante ha lanciato due messaggi di allarme. Poi ha puntato verso Punta Raisi ma non è riuscito a raggiungere lo scalo

«Non ce la faccio ad atterrare, scendo in acqua»

Alessandra Lotti

Doveva essere un viaggio di routine, in piena tranquillità, da Bari a Djerba, sorvolando acque ben note, quelle del Mediterraneo. Non lo è stato. La serenità è sparita definitivamente dai volti dell’equipaggio dell’Atr 72, nome in codice del volo Tui 1153 intorno alle 15.20. A quell’ora il comandante del volo, il capitano Chafik Gharbi ha spiegato al suo copilota Alì Kbaier esattamente come stavano le cose e ha iniziato a guardare con attenzione il mare sotto di sè. Momenti difficili, c’è da giurarci, in cui tutto si gioca con la ricerca, in tempi immediati di una soluzione, lassù nel cielo. Il comandante ha immediatamente capito che la soluzione a quell’imprevista avaria stava nel mare. Alle 15.24 nel Sos lanciato al centro di controllo di Roma Chafik Gharbi parla esattamente di avaria al motore e di voler atterrare all’aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo Punta Raisi. Il permesso viene ovviamente accordato dall’Enav. La volontà c’è, ma i motori non rispondono. Il comandante capisce di non poter raggiungere la terraferma. E tutto si svolge in una manciata di minuti, tra l’ansia, la paura e la volontà di giocarsi il tutto per tutto. In gioco c’è la vita, propria e di tutti quelli a bordo. Alle 15.40 ancora una comunicazione di Gharbi, di tenore diverso rispetto alla prima. Il destino del volo pare già essere scritto in quella che più di una comunicazione è un annuncio disperato. Ore 15.40 il comandante grida: «Non ce la faccio a atterrare, ammaro». Le acque a cui punta la fusoliera dell’Atr sono quelle a nord di Capo Gallo, a 13 miglia di Palermo. La paura cresce all’interno dell’abitacolo. Nel suo resoconto ai tecnici dell’Enac, l’ente per l’aviazione civile che raccolgono la sua testimonianza al di là del microfono, anticipa che la manovra di ammaraggio, proprio a causa della mancata potenza dei motori non sarebbe riuscita perfettamente e l’areo sarebbe entrato in mare con la fusoliera in picchiata. «I motori hanno perso potenza e sono stato costretto ad ammarare». E via, con gli occhi e soprattutto i radar a cercare un punto di mare il più possibile calmo, per cercare di impattare tra un’onda e l’altra, in parallelo. Morbidamente, altrimenti il rischio è quello che l’aereo si spezzi. Alle 15.

47, a terra e anche in cielo, capiscono cosa sta realmente succedendo. Partono immediatamente in soccorsi. Le motovedette della Guardia costiera si dirigono subito verso il punto in cui è ammarato l’Atr. Ora il comandante Chafik è tra i feriti più gravi dell’incidente.

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