Non ci piace ma teniamocela

Appostarsi nella foresta aspettando il ricco di passaggio per prendergli i soldi da dare al povero può essere un’azione discutibile, specialmente se il ricco può scegliere strade diverse. È viceversa indiscutibile che mettere fuori dalla foresta un cartello con scritto: «Pericolo, ladri nel bosco» e poi cambiare idea è un danno puro e semplice. Annunciare una nuova tassa e poi fare retromarcia è una scelta pessima, perché si danneggia il sistema facendone uscire gli operatori spaventati dall'incertezza fiscale, senza poi nemmeno ottenere gettito aggiuntivo dagli operatori rimasti.
Di certo Tremonti è consapevole di questo fenomeno e quindi è probabile che terrà il punto, nonostante le pressioni perché la tassa venga abbandonata prima di nascere. Il ministro si ricorda sicuramente i danni che causò la raffica di annunci incauti del governo Prodi in tema fiscale: nei primi mesi del governo di centrosinistra l’annuncio di una tassa abnorme sulle società immobiliari provocò un tale sconquasso che venne ritirata in fretta e furia, peccato però che invece di applicarla lo stesso, corretta dagli errori più marchiani, la tassa venne del tutto cancellata, lasciando solo le macerie senza un euro di gettito in più. Nell’elenco dei danni si può aggiungere anche la famigerata tassazione delle rendite finanziarie, il cui spauracchio venne inutilmente agitato per tutta la scorsa legislatura provocando come unico effetto una delle più grandi fughe di capitali della storia.
Adesso però, dopo essersi lasciati scappare alcune dichiarazioni, non particolarmente ispirate, che hanno trasmesso una sensazione di incertezza, l’esecuzione della tassa da parte della maggioranza diventa un esercizio più difficile, dato che le lobbies contrarie al provvedimento hanno ripreso coraggio. Il punto più complesso da disinnescare è il pericolo di traslazione dei prelievi sui consumatori, seguito a ruota dai rischi di non rispondenza della norma agli standard europei, gli stessi per intendersi che impedirono di escludere le banche dalla riduzione del «cuneo fiscale», varata da Prodi con la solita legge pasticciata, che dovette essere per questo corretta. Di sicuro all’Authority per l’energia, a cui il decreto affida la vigilanza contro la tentazione di appioppare la tassa ai cittadini alzando i prezzi, non si prevedono giorni tranquilli: spetta al governo esercitare tutta la propria autorevolezza nel sostenerne i compiti con lo strumento della moral suasion (per capirsi: «Occhio che per chi fa il furbo si prevede visita della finanza a controllare un po’ a fondo i conti»).
In ogni caso conviene che al governo si faccia tesoro di questa esperienza per delineare le proprie strategie di incentivo alla crescita: non si può escludere a priori un intervento in caso di extraprofitti eccessivi, dal momento che può essere letto come un equo contraltare agli immancabili aiuti in caso di congiuntura particolarmente negativa, però è vitale presentare agli investitori esteri il nostro Paese come finalmente stabile, fiscalmente amichevole e accogliente per lavoratori, imprese e capitali. Così come un turista non prenoterebbe mai una vacanza in un hotel a tariffe variabili, nessuna impresa è felice di investire in uno Stato dove i budget sono scritti sulla sabbia perché la creatività fiscale può cambiare tutto dalla sera alla mattina. I danni in passato su questo fronte sono stati molti soprattutto perché i governi di centrosinistra, maestri nella pratica dannosa dell’agitare a vuoto la clava fiscale, hanno avuto la ventura di essere in carica proprio nei momenti di espansione economica internazionale, quando cioè le grandi imprese hanno deciso piani di investimento, scartando sempre l’Italia a causa di ciò.


Robin Hood non è granché come uomo-immagine, ma dopo che si è deciso di metterlo speriamo lo si faccia bene, senza tentennamenti e poi non se ne parli più: a lungo andare non farà più paura e i viaggiatori torneranno a Sherwood Italia, in fondo ci si sta così bene...
Claudio Borghi

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