Domenico Latagliata
Torino - «Se ero un deficiente prima, lo sono anche adesso che vinco». Meglio mandare a memoria quanto detto da Claudio Ranieri in data 8 novembre, vigilia della trasferta di Verona contro il Chievo: metti mai che a fine stagione la Juve dovesse portare a casa il triangolino tricolore, per non parlare del sogno proibito della Champions League, quella diventerebbe la più clamorosa firma da apporre in calce a un successo bianconero.
Del resto, le cose si sono messe bene per la truppa juventina e viene quasi da sorridere a riavvolgere il nastro di questa prima parte di stagione: tre pareggi consecutivi (Catania, Sampdoria e Bate Borisov) e un ko casalingo (contro il Palermo) avevano fatto precipitare le quotazioni di tutta la Juve e di Ranieri in particolare: poi, dopo la sosta per le nazionali, era arrivata anche la sconfitta di Napoli a rendere ancor più precaria la situazione. La Signora era precipitata nella parte destra della classifica, appaiata al Lecce e a meno sette dall'Inter capolista: sabato prossimo, sempre che i nerazzurri battano stasera il Palermo, Del Piero e compagni potrebbero vincere a San Siro e affiancare proprio i Grandi Nemici, lanciando loro definitivamente la sfida.
Dal 18 ottobre in avanti, appunto, è successo di tutto: sette vittorie di fila (cinque in campionato e due in Champions), una difesa tornata quasi insuperabile (senza l'inutile rigore segnato nel finale da Milito, Manninger sarebbe arrivato a 375' di imbattibilità), una squadra che ha addirittura riscoperto Tiago e per certi versi Marchionni, due che per motivi differenti erano rimasti sempre ai margini. In panchina, sempre lui, «il deficiente che non può essere diventato Einstein in quindici giorni». Quello che, secondo i critici più accesi, non aveva il controllo dello spogliatoio e predicava un calcio superato, in balia degli eventi e degli umori della folla. Quello che non aveva ancora deciso se affidarsi alla vecchia guardia o alle forze nuove che facevano capo a Giovinco. Quello che aveva dato il proprio avallo a una campagna acquisti sbagliata.
La sostanza è che il tecnico romano non ha mai perso la calma e nemmeno i dirigenti, che hanno fatto quadrato nel supportare (non sopportare) il loro allenatore chiedendo e ottenendo la massima disponibilità innanzitutto ai senatori. Del Piero in testa, ovvio: il quale ha trovato finalmente modo di instaurare un dialogo costruttivo con il tecnico, condividendone le scelte e spiegando le proprie ragioni. Poi ha dovuto parlare il campo e le risposte, grazie anche a un modulo che non è più cambiato, sono arrivate puntuali: Real Madrid battuto due volte su due, poi Torino, Bologna, Roma, Chievo e Genoa. Mai la Juve di Ranieri aveva marciato così forte, essendosi fermata l'anno passato a quattro vittorie consecutive, per di più nel mese di aprile quando lo scudetto era già scappato. Per ritrovare un filotto di questa portata, tralasciando le otto vittorie ottenute in serie B da Deschamps tra il 16 settembre e l'1 novembre 2006, bisogna tornare alla Juve di Capello, capace di vincerne nove dal 28 agosto al 15 ottobre 2005 e otto nella stagione precedente. Stagioni chiusesi con la vittoria degli scudetti sul campo, poi revocati dalla giustizia sportiva.
«Vediamo l'alba», ha finalmente ammesso Ranieri nel post Genoa. In attesa di rispedire in porta Buffon (ma Manninger non ha quasi mai dovuto fare gli straordinari), di riabbracciare il miglior Camoranesi e di ritrovare a febbraio un certo Trezeguet.
Ecco: se a quel punto la Juve sarà ancora attaccata alla locomotiva, allora sì che il popolo juventino potrà sognare di finire la stagione con in mano qualcosa di concreto. E «il deficiente», a quel punto, potrebbe anche proclamarsi Einstein.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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