Il lettore Francazi scrive del «massacro di Pontelandolfo del 14 agosto 1861» e Granzotto gli fa eco scrivendo che ci furono «episodi - stragi di civili, donne e bambini - come quello di Pontelandolfo». In queste due frasi viene alla luce come si può falsificare la storia. La verità storica è unaltra e la indico con i documenti. Vero è che il giorno 14 agosto 1861 ci fu la strage di Pontelandolfo, ma occorre aggiungere che questa fu la risposta dellesercito piemontese come ritorsione alla strage compiuta il giorno prima dagli abitanti di Pontelandolfo assieme ai briganti contro lesercito piemontese. «Gli abitanti di Casalduni e Pontelandolfo, unitisi a 400 briganti, dopo le più crudeli sevizie avevano infamemente massacrato una mezza compagnia e due ufficiali del 36º reggimento di linea. I soldati, circondati da migliaia di forsennati, opposero bensì una disperata difesa, ma sopraffatti, sfiniti, caddero in mano duna turba selvaggia e sanguinaria che, non sazia di trucidarli commetteva su di loro fra i più atroci tormenti, le più oscene sevizie. I due ufficiali, legati nudi agli alberi, costretti prima ad assistere alleccidio dei loro soldati, venivano poi torturati in tutti i modi; le donne, furibonde, conficcavano loro ferri negli occhi e tutte le membra del corpo erano barbaramente lagellate e mozzate» (da Carlo Melegari). La storia non può essere dimezzata.
Cervinara (Avellino)
Certo che no, illustre Cillo: la storia non può essere dimezzata. E senza dimezzarla anche lei riconosce che lesercito italiano (non piemontese: solo da poco, certo, ma del Regno dItalia) fece a Pontelandolfo strage di uomini, donne e bambini. Altrettanto vero che precedentemente i «briganti», cioè i partigiani, accopparono 40 soldati che avevano ricevuto dal generale De Sonnaz (detto, dai suoi, «Requiescant» per avere la fucilazione facile, specie di preti) lordine di stanare e accoppare i «briganti». Non vè dubbio che una volta arresisi i quaranta non furono trattati coi guanti bianchi, ma lei non può prendere per oro colato ciò che scrisse, molto tempo dopo i fatti, il maggiore Carlo Magno Melegari. Ovviamente non un testimone oculare e, quel che più conta, comandante di una delle due colonne di bersaglieri responsabile della rappresaglia a Pontelandolfo. Quel Melegari che aveva ricevuto disposizioni direttamente dal generale Enrico Cialdini: «Desidero vivamente che di questi due paesi \ non rimanga più pietra su pietra. Ella è autorizzato a ricorrere a qualsiasi mezzo, infliggendo a quei due paesi la più severa punizione». Quel Melegari che a cose fatte così telegrafò al governatore di Benevento: «Allalba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora».
Quella del 14 agosto 1861 fu una mattanza, illustre Cillo. Allalba Melegari e il suo socio, il colonnello Pier Eleonoro Negri, bloccarono le vie duscita da Pontelandolfo per impedire che un solo abitante potesse fuggire. Quindi, in ordine chiuso, si avventarono sugli inermi civili - uomini, donne e bambini - uccidendone, vuoi con arma da fuoco e vuoi con arma bianca, baionette e sciabole, quanti poterono. Terminato leccidio e senza mettere in conto le violenze e gli stupri, razziarono il razziabile.
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