Non esiste paradiso per i "Martin Eden"

Il romanzo di maggiore respiro dello scrittore approda alla Mostra del cinema di Venezia

Non esiste paradiso per i "Martin Eden"

Curioso impasto di darwinismo, niccianesimo, socialismo, Jack London (1876-1916) scrisse la vita che andava vivendo e se la si volesse riassumere in cifre racconterebbe una produzione sterminata in un arco di tempo brevissimo: la prima raccolta di racconti, Il figlio del lupo, è del 1900, l'ultimo romanzo, Il figlio del mare, di sedici anni dopo, quando morì, e poi ci sarà ancora spazio per molti romanzi postumi... Per le immagini, il ritmo è ancora più serrato, dall'esordio del 1902 sui bassifondi di Londra, al reportage sulla rivoluzione messicana del 1914. Ricapitolando, 50 libri, 12mila foto, quarant'anni...

Martin Eden, il suo romanzo di (...)

(...) maggior respiro e che ora approda alla Mostra del cinema di Venezia in una rilettura italiana, racconta di un uomo che agisce solo per sé stesso, combatte solo per sé stesso e muore, in fondo, solo per sé stesso. Deluso da tutto, individualista coerentemente quanto totalmente avulso dai bisogni collettivi del mondo circostante, non gli resta, notava il suo autore, nulla per cui combattere e vivere. E così muore. Si era illuso che i libri «dicessero il vero» e potessero trasformarlo da «cane che dorme al sole», incapace a esprimere in modo articolato ciò che si portava dentro, in «gigante», ovvero scrittore. Ma era la società che in seguito ne stabiliva il valore, trasformandolo in merce, e lui si rifiuterà di essere «l'appetito che l'intera folla vuole saziare»... Se si vuole, Martin Eden è l'esatto rovescio del Grande Gatsby di Fitzgerald: entrambi i protagonisti pagano il successo con la vita, ma uno quando, raggiuntolo, si illude di poterlo assaporare, l'altro quando si è ormai accorto che non sa di nulla...

Autobiografico sotto il profilo della lotta per imporsi a petto di un mondo sentito come ostile, Martin Eden era però l'opposto del London che, testardamente, aveva fede nell'essere umano: «Attendo con ansia il tempo in cui l'uomo compirà un progresso verso qualcosa che valga e che sia più importante dello stomaco. Continuo a credere nella nobiltà e nell'eccellenza dell'uomo. Credo che la dolcezza spirituale e la generosità conquisteranno la volgare ingordigia odierna».

In Italia London ha a lungo pagato lo scotto della riduttiva presentazione fattane nell'Americana di Elio Vittorni, antologia canonica quanto ideologicamente riduttiva. «Nessuno dei suoi romanzi è particolarmente notevole» era la lastra tombale che seppelliva Il richiamo della foresta, Zanna bianca, Il tallone di ferro, Martin Eden, appunto... Letteratura popolare, ma priva di dignità artistica, insomma, questo il giudizio critico che almeno sino alla fine degli anni Settanta del Novecento lo relegò in cattive traduzioni, pessime riduzioni...

Sorte peggiore è toccata al London fotografo, riscoperto appena una decina di anni fa, con una selezione di duecento immagini curata dalla University of Georgia Press: una festa per gli occhi e un incredibile tuffo nel passato.

Di un XX secolo allora agli inizi London fu il testimone oculare del «popolo degli abissi» della capitale britannica, un mondo di miseria, abbrutimento, ingiustizia; della guerra russo-giapponese del 1904, vista sul fronte coreano; del terremoto e del successivo incendio che distrusse San Francisco nel 1906. E poi gli indigeni dei mari del Sud, l'isola dei lebbrosi di Moloka'i, l'estinzione dei polinesiani di Typee incontrati durante la navigazione oceanica dello «Snark», il veliero da dodici metri da lui fatto costruire, l'invasione di Veracruz da parte statunitense durante la rivoluzione messicana.

Le immagini e le corrispondenze sulla guerra in Corea colpirono talmente l'opinione pubblica e l'immaginazione dei lettori che, ancora mezzo secolo dopo, Hugo Pratt farà dell'incontro fra Corto Maltese, London e il «soldato russo perduto» Rasputin il punto di partenza della sua saga. Il racconto londoniano Accendere una fiammata, storia di un uomo che, vittima del freddo, decide di morire con dignità, tornerà invece come un flash nella mente di un Che Guevara incalzato a Cuba dai soldati di Batista e convinto ormai della propria fine...

I suoi scatti fotografici, così come i suoi libri, sono sempre e comunque la testimonianza di un'acuta sensibilità mista a compassione, a rispetto e ad amore per l'umanità. Sotto questo profilo, Il popolo degli abissi, il libro-reportage dedicato ai diseredati che vivevano nel cuore e però ai margini dell'impero britannico, è una testimonianza unica e la spiegazione convincente del perché Karl Marx potesse concepire Il Capitale proprio a Londra e Charles Dickens ambientarvi Oliver Twist... Per tre mesi London visse come un paria fra i paria, dividendone fame e intemperie, paura e umiliazioni.

Allo stesso modo, scatti fotografici e libri danno piena testimonianza di un sentimento generoso e infantile, l'idea di un'umanità «calorosa, fallibile, fragile, sordida e meschina, anche

grottesca, eppure allo stesso tempo pervasa da lampi e bagliori di qualcosa di più sottile e divino». E questo in fondo, dall'inizio alla fine è stato Jack London, febbrile e fragile cantore di una libertà che fosse per tutti.

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