«Non esistono arbitri casalinghi, solo arbitri scarsi»

Scusi Agnolin, è offensivo dire «casalingo» a un arbitro?
«In un primo momento quando l’arbitro si approccia e cerca di inserirsi in una categoria, si può anche dire. Poi, più avanti va nella carriera, non esiste che uno sia sfacciatamente casalingo».
Nella sua carriera le hanno mai dato del casalingo?
«Forse il contrario, perché io non guardavo in faccia a nessuno, grandi e piccoli».
Quando lei ha fatto il designatore in serie C, teneva conto delle vittorie casalinghe o esterne nelle gare dei suoi arbitri?
«No. Anche perché è chiaro che con un arbitro in crescita sono favorite le squadre di casa. Poi con l’esperienza e l’affidamento di partite importanti, i risultati rispecchiano i reali valori in campo».
Dài, ridiamoci su: un arbitro può essere «casalingo» per paura dell’ambiente?
«Certo, è legittimo, ma è comunque un arbitro scarso».
O condizionato dai grandi club, sudditanza psicologica, per intenderci?
«Il condizionamento esiste nel calcio come in tutti i campi della vita. Ma uno più lavora e meno condizionato è. Gli arbitri si trovano davanti dirigenti importanti, grandi giocatori e possono risentirne».
Cosa significa per un arbitro avere attorno 100.000 tifosi che urlano come pazzi?
«È stimolante, più contrasto c’è il fascino aumenta e l’adrenalina è alle stelle. Uno si sente gratificato e coinvolto. Personalmente ricorderò sempre la mia prima esperienza internazionale in Grecia con 80.000 spettatori, ero esaltato dallo spettacolo, ma non impaurito».
Meglio gli arbitri dei suoi tempi o quelli, abbastanza scarsini per la verità, di oggi?
«Allora chi primeggiava faceva 15 partite l’anno, c’erano gli internazionali per le gare importanti e dietro un gruppetto ristretto per i match di seconda fascia. Gli arbitri di oggi vivono tre generazioni di calciatori e devono sapersi adeguare a tecniche e tattiche perché il calcio è cambiato».
È più duro fare l’arbitro oggi?
«Più duro, ma anche più facile. Adesso il sottopassaggio per entrare in campo sembra un salotto, con baci e abbracci, tutti si conoscono, tutti si rispettano. Una volta era diverso, le rose erano ridotte all’osso, uno stava in una squadra la vita intera e già prima di giocare aveva il coltello tra i denti».
Come può un arbitro resistere alle pressioni esterne?
«Deve farsi iniezioni come contro la febbre gialla, non dar peso a quello che dicono intorno a lui prima e dopo, sia a livello societario sia a livello mediatico. Anche perché ci sono pochi giornalisti obiettivi, in tv si dichiarano tifosi per rispettare ordini di scuderia e fare il teatrino. L’arbitro deve essere come una foca che entra in acqua e l’acqua gli scivola sulla pelle».


Che consiglio darebbe al belga De Bleeckere?
«Di bere un bicchiere di buon vino e gustarsi con misura la cucina catalana. Deve saper cogliere gli aspetti positivi della partita e sentirsi sereno alla fine. Anche perché oggi c’è un altro contesto internazionale, soprattutto economico».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica