Chi ha a cuore le istituzioni probabilmente si augurava - anche se le sue simpatie politiche andavano altrove - che Romano Prodi trovasse motivazioni convincenti, o almeno decenti, nella difesa del suo comportamento per laffaire Telecom Italia. Non è mai un bel vedere quello dun Presidente del Consiglio che, messo di fronte a sue precise responsabilità negli sviluppi duna vicenda dai contorni torbidi, sceglie la strada della negazione pura e semplice: senza la minima prova a conforto. Come Tecoppa che, condannato per ubriachezza dal pretore, replicava sobriamente: «Non accetto».
Nel discolparsi, Prodi ha sfiorato lumorismo. Ad esempio con la frase «sono stato accusato perfino di mentire e di sottrarmi al confronto con il Parlamento». Perfino? Ma proprio sulla sua menzogna simpernia lo scandalo. Si può anche capire, benché la procedura risulti equivoca, che il capo del governo sinteressi alle modifiche proprietarie dun colosso aziendale come Telecom. Prodi poteva ammetterlo, con franchezza, e spiegare la genesi del progetto di Palazzo Chigi. Glielavrebbero rimproverato, ma avrebbe avuto qualche buon argomento - linteresse nazionale, la delicatezza del settore delle telecomunicazioni - per difendersi.
Invece no, dice che Tronchetti Provera non gli aveva fatto cenno dei suoi autentici propositi, e dopo la secca smentita dellex presidente di Telecom insiste. Pur senza dargli esplicitamente del bugiardo, come ci si sarebbe aspettato. Perché uno dei due mente, e suppongo che i più, inclusi tanti ulivisti, abbiano in testa unidea molto precisa. Sè indignato Prodi perché i soliti maligni - ossia in pratica la totalità dei commentatori - gli hanno imputato la volontà devitare il dibattito parlamentare. Macché. Smaniava dalla voglia di presentarsi alla Camera e al Senato, il ministro Gentiloni laveva voluto precedere ma lui se nera lestamente sbarazzato.
Per tenermi su questa traccia finanziario-umoristica, rileverò che secondo Prodi le dimissioni del suo consigliere Angelo Rovati «hanno fugato ogni dubbio». Straordinario. Sospetto che nessuno o quasi nessuno prima di Prodi abbia visto nelluscita di scena dun personaggio chiacchierato la dimostrazione della sua innocenza (o dellinnocenza di chi stava sopra di lui). Luscita di Nixon dalla Casa Bianca non ha fugato ogni dubbio, e neppure la rinuncia del ministro Profumo in Inghilterra o - se vogliamo passare dalla politica al pecoreccio - la rinuncia di Luciano Moggi alle cariche che occupava nella Juventus. Dimprovviso scopriamo che la dimissione equivale non a un riconoscimento di colpa ma a unassoluzione. Non è mai troppo tardi per imparare.
Il centrodestra ha ripetutamente chiesto che dopo Angelo Rovati si dimetta anche - e a maggior ragione - Romano Prodi. Per tutta risposta sè visto addebitare «demagogia e strumentalizzazioni». Lopposizione fa il suo mestiere. Non mi sembra tuttavia che esageri se invoca lallontanamento dun premier bugiardo. In Ungheria il bugiardo che regge il governo è rimasto al suo posto, ma dopo avere affrontato una ribellione popolare. Altro ambiente.
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