Tina è moglie, ma soprattutto madre. «Mi spiace tantissimo per quella signora». Quella signora è la mamma di Abdoul. «Io ho un figlio che è ancora vivo e lei no, e la capisco». Daniele, suo figlio, Abdoul l’ha ucciso con un colpo alla testa. Morire a 19 anni, per un pacco di biscotti. «Per questo non le chiedo di perdonare i miei, perché è stata una cosa troppo grossa». Però non si dà pace. E continua a pensarci, che magari «Abdoul non doveva scappare». Perché «se solo avesse detto che aveva preso le merendine non gli avrebbero fatto nulla, il mangiare non si nega a nessuno». Settimo piano del palazzo di giustizia, a pochi metri dall’aula in si trovano cui Fausto e Daniele Cristofoli, interrogati dal giudice. Aspetta, per quasi quattro ore. Per lo più, Tina piange.
«Noi non siamo razzisti», e lo dice quasi non fosse ancora chiaro, nonostante l’abbiano ripetuto gli avvocati della famiglia e forse anche per rimangiarsi le sue prime dichiarazione, di tutt’altro tenore. Ma domenica, il giorno dell’omicidio, non era in grado di dire altro. Ora è diverso. Almeno un poco. «Nel nostro bar - spiega - ci sono molti clienti extracomunitari, operai che lavorano nella zona, albanesi, marocchini ed egiziani, e abbiamo sempre avuto il sorriso con tutti». Oggi saprà se suo marito e suo figlio resteranno in carcere, o potranno tornare a casa. Ma intanto insiste.
Insiste perché «non l’hanno fatto per fare del male, ma per difendere l’incasso di una notte di lavoro». Perché Fausto e Daniele pensavano che Abdoul e i suoi amici gli avessero rubato i soldi, prendendoli dal bancone del bar. Prima di capire che le cose non stavano in questo modo, quando ormai era tardi. Ma «mio figlio si è spaventato», e se ha colpito il giovane di origine africana «l’ha fatto per difendere mio marito. Daniele a 31 anni poteva essere in giro a fare il bullo e invece si è ritirato dopo una nottata di lavoro». Ancora, «non volevano fare del male» e soprattutto «non hanno guardato il colore della pelle». Per questo, ripete, «non chiedo perdono, ma comprensione». Ma per la famiglia del ragazzo ucciso, perdonare sarà tutt’altro che facile. Lo dice, senza incertezze, il padre di «Abba». «Sono arrivati a picchiare mio figlio fino ad ammazzarlo, senza che nessuno sia intervenuto per evitare che lo uccidessero come un animale». E una cosa vuole che sia chiara. «Io non ce l’ho con gli italiani, ce l’ho con chi ha ammazzato mio figlio». Perciò «vogliamo la giustizia vera, e che i due assassini paghino fino in fondo».
In via Zuretti, intanto, resta il bar ancora chiuso, i fiori sul luogo della morte del 19enne, il pellegrinaggio degli amici di Abdoul e i sui muri primi graffiti che lo ricordano. «Abba uno di noi», «Abba vive».
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