Cronaca locale

Non serve un giurì del buoncostume

di Carlo Maria Lomartire

Se non ora, quando? Infatti la censura politicamente, anzi femministicamente corretta non poteva arrivarci addosso che ora, con questa giunta intrisa di ideologia. La sociologa Francesca Zajczyk ha appena ricevuto dal sindaco Giuliano Pisapia l'incarico di occuparsi delle «politiche per le Pari Opportunità». Il suo primo impegno? Ripulire la città della pubblicità che offenda la dignità della donna. Con quali criteri di valutazione? «Creeremo un giurì - annuncia - con il compito di vigilare sui manifesti appesi per le vie di Milano». Intimidazione conclusiva: «Toglieremo quelli offensivi». Si chiama censura. E poi, offensivi secondo chi? È sicura la sociologa che quel giurì rappresenti «le donne» e che tutte abbiano la stessa sensibilità o suscettibilità? E non ci spiega con quale autorità rimuoverà le affissioni che al giurì non sono piaciute, creando un danno economico a chi quei manifesti ha pagato, tassa d'affissione compresa: sul Comune arriverebbero valanghe di ricorsi con richieste di risarcimenti. È evidente che la signora Zajczyk sta maneggiando una materia della quale non ha ben chiari i contorni. Ma il suo a Palazzo Marino ormai non è un caso isolato.
Così come non è una novità che la sinistra si senta legittimata alla censura da «superiori» motivazioni ideologiche o etiche. Accade da qualche decennio, dai tempi del «realismo socialista» di Stalin. Sia chiaro, è fuori di dubbio che di pubblicità di cattivo gusto in giro se ne vede tanta. Che il cattivo gusto debba essere censurato è inaccettabile. È un pretesto troppo comodo. Se poi scendiamo sul piano dell'etica la faccenda si complica ulteriormente perché non escludo che anche un bravo musulmano chieda di entrare a far parte di quel giurì. Perché no? A quale etica, dunque, ci riferiamo? Forse la sociologa non era in giro per le strade del centro di Milano l'altra notte, quando imperversava la riuscitissima «Vogue Fashion's night out», perché se avesse visto le splendide ragazze (splendide si può dire?) che dalle vetrine di un paio di negozi in corso Vittorio Emanuele facevano pubblicità a dei capi di biancheria intima che definire seducenti è riduttivo, bè siamo sicuri che se le avesse viste sarebbe piombata in quelle vetrine per coprire le fanciulle con dei lenzuoli. Che poi è come strappare dei manifesti. Ed è mai passata la signora Zajczyk, in corso Matteotti angolo via Verri? C'è Abercrombie, un grande negozio di una nota marca americana di magliette, molto popolare fra i ragazzi. Un fenomeno di dimensioni planetarie: ogni giorno, a qualsiasi ora decine di fanciulle accompagnate da mamme e papà, fanno una fila interminabile sul marciapiede per entrare a fare shopping e - soprattutto - vedere dei bellissimi e ammiccanti ragazzotti che si muovono al ritmo di musica techno, a torso nudo, palestratissimi e depilati, con addosso solo un paio di jeans a vita molto bassa. Vederli, farsi fotografare con loro e mandare le foto alle amiche via telefonino. In quel caso, a proposito di pari opportunità, per chi è la mancanza di rispetto, per le ragazze o per i giovanotti? Forse dobbiamo aspettarci che un'incaricata del minacciato giurì corra nel negozio a coprire con dei teli quegli svergognati.

Ci pensi bene, signora Zajczyk, perché sta compiendo i primi e maldestri passi su un terreno molto sdrucciolevole.

Commenti