«Non si torna ai confini del ’67 Per Israele sono indifendibili»

Olmert però non parla più di piano unilaterale: si negozierà con i palestinesi. E Abu Mazen verrebbe rimesso in gioco

Alla frontiera del ’67 non si torna. Ehud Olmert stavolta l’ha detto e l’ha pure argomentato chiarendo le intenzioni di Israele sui confini successivi al ritiro dalla Cisgiordania. «Non accetteremo mai di ritirarci da tutti i territori perché i confini del 1967 sono indifendibili», ha detto ieri il premier israeliano illustrando ai deputati del Parlamento britannico i motivi per cui lunedì nella conferenza stampa con il premier britannico Tony Blair, ha parlato di un abbandono del 90 per cento dei territori. La frontiera finale immaginata da Olmert seguirà il tracciato della barriera di difesa costruita lungo i territori palestinesi inglobando le colonie intorno a Nablus, i quartieri della Grande Gerusalemme e buona parte degli insediamenti situati nella valle del Giordano. Gli eventuali negoziati sul 10 per cento di territori assorbiti da Israele riguarderanno solo le rettifiche al tracciato del «muro» indispensabili per evitare la definitiva separazione di proprietà e terreni palestinesi attraversati dalla nuova frontiera. Il piano di rettifiche e correzioni sarebbe già stato avviato dal ministro della Difesa Amir Peretz.
La correzione più radicale riguarderà però la forma politica del progetto di ritiro e punterà a trasformarlo da unilaterale in negoziale. La svolta arriva, non a caso, subito dopo l’incontro con Blair. Il primo ministro inglese, pur ricordando la necessità di soluzioni alternative in caso di stallo, ha sottolineato nell’incontro con Olmert l’importanza di rendere accettabile a livello internazionale il piano di convergenza. I suggerimenti di Londra coincidono con quelli di Washington e il premier israeliano ha immediatamente dato il via all’operazione di cosmesi.
In base al nuovo orientamento Israele non pretenderebbe più come condizione per i negoziati lo smantellamento delle infrastrutture terroristiche previsto dalla prima fase della road map. In questo modo si passerebbe direttamente alla fase due della road map per negoziare l’opzione di uno Stato palestinese con confini provvisori in attesa del cosiddetto stato finale. Questa soluzione interinale rimetterebbe in gioco anche il presidente Abu Mazen che, secondo il ministro degli Esteri signora Tzipi Livni, non è adeguato a discutere un accordo finale perché non ha l’autorità per farlo rispettare. Può invece diventare un partner per mettere a punto gli accordi sui confini provvisori. In questo modo il piano di convergenza diventerà un’appendice della seconda fase della road map.


La variazione trascura per ora l’impossibilità politica del debolissimo presidente palestinese di concordare o anche solo discutere un piano che prevede il controllo israeliano per ragioni di sicurezza della valle del Giordano, l’indivisibilità di Gerusalemme e non contempla nessuna formula sostitutiva per l’eliminazione del cosiddetto «diritto al ritorno dei profughi». Abu Mazen ha, inoltre, sempre rifiutato un negoziato su un assetto solo provvisorio dello stato palestinese.

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