Non solo fantasie Cosa nascondono queste paure

Divertente che un gruppo di scienziati e liberi pensatori organizzi un percorso di rituali-antirituali, invitando i partecipanti a passare sotto scale aperte, rompere degli specchi, o versare a terra il sale, per dimostrare che, dopo, non succede nulla. Ma servirà? Gli organizzatori sanno già da un pezzo che a passare sotto una scala non succede niente. E chi invece fermamente crede che succeda qualcosa, non si metterà certo a farlo perché glielo dice un professore. Come a tutti i rituali vi parteciperanno i convinti, più qualche convertendo che si sarebbe comunque convertito alla prima occasione. E gli altri rimarranno fedeli alle proprie convinzioni, paure, e tecniche propiziatorie. Come mai? Intanto perché la superstizione è meno scema di quanto la credano i liberi pensatori o maghi tecnologici. Il successo del rito è dovuto al fatto che esso usa il linguaggio analogico, o simbolico, che richiama l’uomo ai possibili rischi o danni di ciò che fa. L’idea che buttare il sale porti male nacque presso gruppi che di sale ne avevano poco, dunque era prezioso, e invita a non buttar via materiali di valore. Come l’attenzione a non versare l’olio. La superstizione trasforma un aspetto della realtà (buttare ciò che serve danneggia chi lo fa) in paura irrazionale. Però è impossibile sradicare quel comportamento senza riconoscere la sua origine (in questo caso l’attenzione a non sperperare materiali utili), e considerare il tutto semplicemente una scemenza. La musica non cambia per la questione della scala, simbolo già presente nei libri più antichi, come la Bibbia, dove rappresenta il luogo del salire verso l’alto da parte degli umani, e dello scendere in basso da parte degli angeli. Se c’è una scala aperta, passarci sotto senza badare è rischioso, perché qualcosa di quest’attività «più alta», sia che si tratti di imbiancare un muro o di salire verso il cielo (o di cercare di farlo), può caderti in testa e farti male. Lo specchio poi, è lo strumento che ti rimanda la tua immagine: se lo rompi, dal punto di vista simbolico, non sai più chi sei. Dal punto di vista pratico, se la tua identità è bella forte, non ti succede niente; ciò non toglie che il rompersi di qualcosa che ti rimandava un’immagine intera rimanga sgradevole. Tanto è vero che la filmografia o la narrativa horror, che sono in genere altamente professionali e tutt’altro che ingenue, si servono da sempre dell’immagine dello specchio infranto come annuncio di sventura. L’integrità della nostra immagine è condizione del nostro benessere; il volto o il corpo infranto e frammentato ci parlano della nostra paura di romperci di «andare in mille pezzi» (mai completamente ingiustificata, come dimostrano le cronache). La superstizione dello specchio infranto è un modo, certo veloce e troppo sbrigativo, di aggirarci dalle parti di questa paura e di questo rischio. Difficile dunque decidere se sia più sciocco chi lo teme, o chi crede che il rischio non esista, e la sua rappresentazione (lo specchio infranto) non significhi nulla.

Il devoto del principio di causa-effetto pensa che il cultore di simboli, sincronicità e analogie sia sciocco o pazzo, mentre il secondo è convinto che il libero pensatore sia un inguaribile superficiale. Per stare più tranquilli sarà meglio utilizzare entrambi.

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