«Non è solo fatalità: troppa gente inesperta oggi tenta l’avventura»

«Sono troppi e in troppi si improvvisano - lo dice chiaramente Kurt Diemberger, 76 anni, uno dei protagonisti dell'alpinismo del dopoguerra che ha scritto le pagine più importanti della storia delle scalate, specie sugli ottomila -, così quando ci sono problemi seri e bisogna davvero tirare fuori tecnica ed esperienza, sono pochi quelli che ce la fanno». Diemberger era con Hermann Buhl (il primo a scalare il Nanga Parbat) quando scomparve sul Chogolisa.
Fra gli inventori dello «stile alpino» Diemberger era sul K2 nel 1987, l'anno finora più tragico della «Montagna degli italiani». È l'unico alpinista ancora in vita ad aver scalato due ottomila in prima assoluta. E in quella tragica stagione sul K2, in cui persero la vita 13 alpinisti compresa la sua compagna Julie, ha ambientato il suo libro Il nodo infinito - sogno e destino, un cult per chi pratica questa disciplina.
Diemberger, cosa sta succedendo nell'alpinismo?
«Troppa gente inesperta, più che in passato. Certo, anche nelle spedizioni commerciali ci sono bravi alpinisti, ma la probabilità che ci siano degli incapaci è più alta. Così quando ci sono delle difficoltà, come quelle presentatesi al K2 in questi giorni, capacità ed esperienza fanno la differenza. Chi va su deve conoscere i rischi: su quelle vette è morto in media uno scalatore ogni quattro».
Perché questa concentrazione di tragedie?
«Perché si pensa che basti assumere un portatore e scegliere una buona spedizione a pagamento per poter realizzare qualunque obbiettivo».
Questo riguarda anche gli ultimi casi italiani?
«No. Al Nanga Parbat Unterkircher è stato anche sfortunato. Lui era un grandissimo alpinista. E anche Nones e Kehrer lo sono. Stessa cosa direi per Confortola».
Al K2 tra l'1 e il 2 agosto si è consumata una delle più grandi tragedie dell'alpinismo degli ottomila?
«Intanto è ancora da chiarire quanti sono gli scomparsi, oltre ai morti accertati, anche se a quelle quote, dopo 2 o 3 giorni scomparso significa morto. Un serbo è caduto in salita. Sette sono stati travolti dalla valanga del mattino del 2 agosto, altri devono essere scivolati o si sono persi in discesa, come succede spesso. Non essendoci un'unica regia la ricostruzione dei fatti e la conta degli scomparsi non è facile. Se verranno confermate le informazioni attuali si potrà davvero parlare di un anno eccezionale».
Ma l’incidente è avvenuto in condizioni eccezionali?
«No. Il traverso sotto il grande seracco prima della vetta del K2 resterà sempre un passaggio delicatissimo e, non a caso, la maggior parte dei morti del K2 è caduta proprio lì, specie in discesa. Nel tragico 1987 ci fu un rapido peggioramento del tempo. Stavolta il tempo era bello ma ci sono punti pericolosi anche per gli alpinisti migliori...».
Come mai tutta questa attenzione dei media in questi ultimi episodi?
«In realtà c'è sempre stata, anche ai tempi del “mio” K2. Allora, specie fra i media tedeschi, la notizia fece il botto.

Oggi però bisogna dire che con gli aggiornamenti ora per ora via satellitare e via internet quel che succede diventa una sorta di reality show: si crea una storia e un'attesa e poi si deve seguire tutta la vicenda per sapere come va a finire».

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