da Roma
Riuscite a immaginarvelo, Nino Frassica, in tenuta da teatrante davanguardia anni 70? Tutina nera aderente dordinanza, sguardo fosco di prammatica, a recitare Beckett o le pièce espressioniste tedesche, davanti a sette spettatori sette? «Eppure è proprio così, che ho cominciato. Nessuno lo sospetta: ma io mi sono diplomato alla scuola del Piccolo di Milano, cosa credete? Ho fatto lavanguardia, la sperimentazione, le cantine. Se mi sono rovinato la colpa è tutta di Arbore. È arrivato lui, prima con Alto gradimento poi con Indietro tutta, a compromettermi».
Gli spettatori più attenti avranno notato la lenta metamorfosi con cui il comico siciliano (attualmente impegnato a Gubbio nelle riprese di Don Matteo 6) sta conferendo uno spessore sempre più malinconico ai propri personaggi. Accettando ruoli una volta impensabili. E imprimendo così una svolta alla propria carriera. Anzi: come dice lui, «un ritorno alle origini».
«Già. Perché, incredibile ma vero, io nasco come attore drammatico. O attore-attore. Capace cioè dimpegnarsi su entrambi i registri».
Insomma: sta per fare anche lei come già Abatantuono o Banfi: un esplosivo inizio da comico, una conferma da interprete serio.
«Spero proprio di sì. E non perché disdegni il comico, che alla radio prima, alla televisione e al cinema poi, mi ha dato la popolarità. Ma perché credo di essere anche un attore più completo. Così ho girato Labbuffata di Mimmo Calopresti, che in una sorta di omaggio al celebre, omonimo film di Ferreri, racconta il mondo del cinema. E nel quale interpreto un patetico cinquantenne, deciso a tutto pur di fare lattore e assolutamente incapace di esserlo. Un ruolo diversissimo dai miei soliti. E non solo perché, nella sua smania dapparire, di esserci, questo signore sè fatto addirittura biondo».
Ed è un ruolo comico?
«Tuttaltro. È buffo. Ma profondamente malinconico. E chi se laspettava dal Nino Frassica cabarettista, storpiatore di parole ed equilibrista del nonsense?».
In Lultimo padrino, invece (la fiction Mediaset su Bernardo Provenzano, diretta da Marco Risi) lei recita accanto a Michele Placido in una parte decisamente da cattivo. Vero?
«Cattivissimo. Anzi nero. Sono Occhiuzzo, il pentito che tradirà il padrino. Ma che prima di farlo ne combinerà di tutti i colori. Qui non sono solo cattivo-cattivo, ma torno anche a recitare in siciliano».
E veniamo a Tornatore. Unaltra parte tuttaltro che comica.
«Della quale non posso parlare perché, come tutti gli attori scritturati per Baaria (questo il titolo del film) siamo formalmene obbligati a mantenere il segreto sul soggetto. Ma posso confermare che anche questo ruolo, un piccolo cameo, è del tutto serio».
E Arbore sè accorto di questo suo tradimento? Che ne dice?
«Ma Renzo conosce meglio di chiunque altro questa mia seconda faccia. Anche se lui ha usato soltanto la prima. È contento. Mi dice: così si accorgeranno, finalmente, che sei bravo sul serio».
Dunque è convinto anche lei che, come ripete un adagio teatrale, sia più facile far piangere che far ridere; ma addirittura raro suscitare le due reazioni allo stesso tempo?
«Il mio sogno è proprio questo. In fondo i nostri attori più grandi sono stati gli eroi della commedia allitaliana; che sapeva appunto unire la lacrima al riso. E poi al cinema io avevo già lavorato, sì, ma nei film di Natale: cose non proprio esaltanti. Mentre ora invece la sorte mi fa approdare al cinema dautore».
Non è che ora mi si metterà a fare limpegnato anche lei, eh?
«No, no, non cè pericolo. Detesto anchio il pregiudizio snob che circonda il lavoro dei comici. La critica non li ama, i festival non li premiano. Ma hanno il merito di rendere la vita della gente più leggera. Hai detto niente!».
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