Non sono solo canzonette, ascoltiamo anche Pupo

Ha proprio ragione Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, quando scandisce nell’intervista a Magazine: «A sinistra c’è arroganza e insofferenza nell’ascoltare. Nella vita bisogna ascoltare anche chi dice scemate». Il problema, si capisce, non sta nell’applaudire o no le abitudini sentimentali, i demoni pokeristici, le canzoni facili o lo stile presentatorio dell’eclettico showman aretino caduto e rinato più volte. Il suo Gelato al cioccolato, ad esempio, è un motivetto che funziona: personalmente e non per vezzo intellettualistico lo trovo più fresco dell’osannato Gelato al limon di Paolo Conte; ma restiamo nel campo dei gusti musicali. Basta non trasformarlo, direi antropologicamente, nell’emblema di qualcosa: ovvero di cafoneria paratelevisiva, di sottoprodotto culturale, di miseria espressiva. Esattamente come fecero Ricky Tognazzi&Simona Izzo, cineasti a un passo da Rifondazione e tra i più arrabbiati dell’Anac, in un loro recente film, Io no, dove il povero Pupo fu esposto a un tormentone squisitamente «progressista», condito di battute sprezzanti quanto inutili. Pensavano di essere spiritosi e caustici. Invece erano solo prevedibili.

Magari si sarebbero dovuti ricordare di quella sublime commedia scritta da Age&Scarpelli, Straziami ma di baci saziami, dove il riflesso della canzonetta popolare sulla condizione umana del buffo-innamorato barbiere Nino Manfredi (erano gli anni dell’Immensità) si convertiva in sguardo ironico e toccante, quasi cechoviano. Da sinistra che pensa, ascolta e fa buon spettacolo.

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